Perché "l'islamofobia di stato" in Francia è un allarme ingiustificato

Mauro Zanon

“L’accusa di islamofobia è spesso usata come arma dagli apologeti dell’islamismo per mettere a tacere i loro critici”, dichiarò il premier Valls all’indomani degli attentati terroristici di gennaio, rompendo l’omertà dilagante nel suo partito.

Parigi. “L’accusa di islamofobia è spesso usata come arma dagli apologeti dell’islamismo per mettere a tacere i loro critici”, dichiarò il premier Valls all’indomani degli attentati terroristici di gennaio, rompendo l’omertà dilagante nel suo partito. Prima di lui, era stato Gilles Kepel, non un pericoloso reazionario ma una figura di spicco dell’intellighenzia goscista, islamologo e opinionista di grido del Monde, a negare l’esistenza di un problema d’islamofobia in Francia nel suo libro “Quatre-vingt-treize”. Il filosofo e saggista Pascal Bruckner, su Libération, aveva tuonato contro l’islamofobia, quale “invenzione” fabbricata dall’antirazzismo e dalla gauche per “negare la realtà di un’offensiva islamica in Francia”.

 

Eppure esiste ancora un collettivo che ogni anno pubblica il suo resoconto sugli “atti islamofobi” e che pochi giorni fa ha servito su un piatto d’argento alla stampa benpensante il pretesto per continuare a suonare la grancassa sulla “islamofobia imperante” nella società francese. Si chiama Collectif contre l’islamophobie en France (Ccif) e dal 2003 si propone di recensire dettagliatamente gli episodi di islamofobia che il ministero dell’Interno riporterebbe soltanto in maniera superficiale. L’ultimo resoconto del collettivo nato “in reazione all’islamofobia rampante”, come si legge sul sito ufficiale, afferma che l’islamofobia si è definitivamente “installata” in Francia, “progredisce”, e addirittura “si sviluppa e si radica in seno alle istituzioni”. In altre parole, per il collettivo considerato vicino all’Uoif (Union des organisations islamiques de France, antenna francese dei Fratelli musulmani), esisterebbe un’islamofobia di stato.

 

A differenza del ministero dell’Interno che inserisce nel novero degli “atti islamofobi” soltanto le aggressioni fisiche o verbali e le minacce, il Ccif aggiunge anche gli episodi di “discriminazione”, tanto fumosi quanto opinabili, che, guarda un po’, costituiscono la stragrande maggioranza degli atti recensiti. Nell’ultimo état des lieux sono infatti 586 i casi di “discriminazione” sui 764 totali, ossia il 77 per cento del totale: le dichiarazioni e i discorsi “islamofobi” o presunti tali sarebbero 103, ampiamente nelle retrovie le aggressioni verbali e fisiche, 28 e 22, e le degradazioni-profanazioni dei luoghi di culto, 25. L’unica in Francia a mettere in discussione le cifre del Ccif prese come oro colato dai giornaloni progressisti, è stata Isabelle Kersimon, giornalista e autrice del libro “Islamophobie: la contre-enquête” (scritto a quattro mani con il giornalista e specialista di storia del diritto Jean-Christophe Moreau), all’interno del quale mette sotto accusa l’allarmismo ingiustificato sulla questione dell’islamofobia, fenomeno che secondo il sistema politico-mediatico non cesserebbe di aumentare anno dopo anno e che invece resta ancora marginale.

 

Oggi, sul Figaro.fr, la giornalista ha spiegato innanzitutto come sia divenuto impossibile verificare i presunti “atti islamofobi” recensiti dal Ccif, perché dal 2013 il collettivo ha smesso di dare notizia dei fatti incriminati, limitandosi a diramare cifre e a parlare di aumenti vertiginosi senza raccontare nel dettaglio gli episodi tacciabili di “islamofobia”. Quanto ai dieci anni precedenti, in molti casi la realtà sugli atti bollati come “islamofobi” era ben diversa rispetto a quella raccontata dal collettivo. Come nel luglio 2004 quando alla voce “islamofobia” viene catalogata la “chiusura di una scuola coranica a Grisny-Suisnes”, aperta illegalmente e chiusa in seguito all’aggressione di tre giornalisti da parte di quattro persone tra cui il suo direttore, Mohammed Hammami, espulso dalla Francia nel 2012 per aver incitato nelle sue prediche al jihad e all’odio verso gli ebrei. O come nel 2006 quando viene giudicato “islamofobo” il “raduno di consiglieri e personalità politiche a Lione contro la venuta di Hani Ramadan”, predicatore islamico svizzero che giustifica le punizioni corporali previste dalla sharia e sottolinea ad ogni occasione pubblica e virtù dissuasive della lapidazione.

 

[**Video_box_2**]Quello incarnato dal Ccif è un “islamismo dal volto umano, suadente”, dice al Foglio Isabelle Kersimon, prima di aggiungere: “Milita espressamente contro le leggi sulla laicità del 2004 e del 2010, che giudica islamofobe, e porta avanti in maniera surrettizia l’ideologia islamista”. Azzouzi Abdel-Rahmène, personalità della medicina in Francia e campione della postura vittimista vicino al Ccif, ha appena pubblicato una lettera, appoggiandosi sulle cifre del collettivo, nel quale parla della Francia come della “nazione democratica più islamofoba del mondo” e lancia un avvertimento che suona come una minaccia: “Coloro che non si ostinano a costruire la pace ottengono la guerra”. Sul sito del Ccif, in alto a sinistra, campeggia lo slogan: “L’islamofobia non è un’opinione, è un reato”. Secondo Ivan Rioufol del Figaro, il logo del Ccif maschera la parola Sif, Sayf al-Islām, che in arabo significa la “Spada dell’Islam”.

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