Il premier francese Manuel Valls (foto LaPresse)

Sulla Libia la Francia è tutta improvvisazione e scarse risorse

Mauro Zanon

Parigi non ha una strategia, dicono al Foglio lo storico Gil Mihaely (vicedirettore del mensile Causeur) e Thibault de Montbrial  (presidente del Centre de Réflexion sur la Sécurité Intérieure - Crsi). La frattura nel governo e la “ragione geografica”.

Parigi. Sabato, a Madrid, durante il summit tra i leader socialdemocratici europei, il premier francese Manuel Valls ha dedicato una parte del suo intervento alla crisi in Libia, denunciando “la minaccia diretta” rappresentata dall’avanzata dei jihadisti libici affiliati allo Stato islamico. “La creazione sotto i nostri occhi e non lontano dalle nostre frontiere di un nuovo rifugio per i terroristi jihadisti”, ha detto Valls, “minaccia direttamente la nostra sicurezza”. Tuttavia, non è stato fatto alcun cenno in merito alle prossime mosse della Francia in Libia e neppure la stampa francese sembra capirci molto sulla strategia dell’esecutivo. Il Monde, la scorsa settimana, ha pubblicato un editoriale critico nei confronti del governo socialista – intitolato “La diplomazia illeggibile di François Hollande” – nel quale il capo di stato viene messo di fronte alla scarsa chiarezza e coerenza che emerge dalle sue manovre diplomatiche. Scrive il Monde: “E’ un successo commerciale per François Hollande, ma sul piano diplomatico, la vendita dei Rafale all’Egitto (ventiquattro cacciabombardieri venduti per 5,2 miliardi di euro, ndr) è un naufragio morale”.

 

Come spiegare all’opinione pubblica il rifiuto di vendere le navi Mistral alla Russia di Vladimir Putin, e poi vendere i Rafale all’Egitto del presidente Abdel Fattah al Sisi? Il giornalista Nicolas Beau, direttore del sito di inchieste Mondafrique, parla di due linee antagoniste nel governo francese sulla politica estera: quella del ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian, e quella del ministro degli Esteri, Laurent Fabius. Il primo, che molti osservatori considerano il nuovo uomo forte dell’esecutivo (“il guerriero”, per l’ultimo numero del settimanale Valeurs Actuelles) è l’artefice della maxi-vendita dei Rafale all’Egitto in ottica antiamericana e non disdegnerebbe un intervento militare in Libia. Il secondo, portabandiera di una diplomazia pro americana e benevola nei confronti del Qatar, paese nemico di al Sisi e ostile a un intervento internazionale in Libia, è favorevole a una “issue politique”, a una risoluzione politica per la crisi libica. Beau parla di “sintesi impossibile” tra le varie anime dell’esecutivo.

 

Lo storico Gil Mihaely, vicedirettore del mensile Causeur ed esperto di questioni internazionali, parla dell’“esistenza di un dibattito intricato in seno al governo francese” circa la questione libica. “La Francia non ha alcuna strategia precisa per affrontare la questione libica. C’è molta improvvisazione, si corre dietro agli eventi senza avere un’idea coerente su come bisogna comportarsi”, dice al Foglio Mihaely, evocando subito uno dei principali ostacoli di un eventuale intervento in Libia: la scarsità dei mezzi e delle risorse a disposizione dell’esercito francese, già sfiancato dalle numerose operazioni in Africa e medio oriente. “Il ministro della Difesa è consapevole più di ogni altra persona in Francia della mancanza di risorse dell’esercito francese, a che livelli quest’ultimo è sollecitato soprattutto in Africa, nel sud del Libano, in Mali, nelle varie operazioni contro lo Stato islamico, e quanto abbia pesato in questi anni la riduzione drastica degli effettivi e dei mezzi a sua disposizione. Non credo che Le Drian voglia spremere ulteriormente le già limitate risorse delle Forze armate francesi, ma è altrettanto innegabile che gli sviluppi della già drammatica situazione in Libia potrebbero costringere la Francia a intervenire”. Thibault de Montbrial, celebre avvocato e presidente del Centre de Réflexion sur la Sécurité Intérieure (Crsi), facendo eco a quanto detto da Mihaely, sostiene che la Francia “è ai limiti delle sue possibilità militari” e che “non bisogna dimenticare il dispiegamento di diecimila militari sul suolo francese nel quadro dell’operazione antiterrorismo Vigipirate”.

 

“Oggi la Francia avrebbe molte difficoltà a guidare una vasta operazione militare terrestre. Il dispiegamento delle sue Forze armate nelle varie operazioni in Africa e in medio oriente pesa moltissimo. Tutti gli osservatori sono preoccupati per la rapidità con cui lo Stato islamico avanza in Libia, perché rappresenta una minaccia diretta agli interessi economici e commerciali europei nel mar Mediterraneo, ma al momento la maggioranza è favorevole a una risoluzione politica”, spiega al Foglio De Montbrial, sottolineando allo stesso tempo la delicata questione della posizione del Qatar al cospetto della crisi libica e dell’Egitto, che pone la Francia in bilico tra Doha e il Cairo: “Siamo nel cuore della grande complessità della diplomazia francese da un lato, e dei paesi del Golfo, come il Qatar, dall’altro. I paesi sunniti sono ambigui con i movimenti terroristici e dovranno uscire al più presto da questa ambiguità. La Francia e l’Europa sanno che i loro interessi sono seriamente in pericolo”.

 

Secondo lo storico Mihaely, “la Francia, alla stregua degli altri paesi occidentali, si trova di fronte a delle pessime opzioni, cerca di rimandare il più in là possibile il momento della verità e soprattutto di scongiurare l’ipotesi di imbarcarsi in una guerra di cui non si può immaginare la fine”. E ancora: “Quella libica è una situazione molto complessa e soprattutto senza soluzioni a breve termine, perché i problemi sono profondi, il mondo arabo sta crollando su se stesso, e nella maggior parte dei paesi arabi non ci sono nazioni, bensì gruppi e tribù incontrollabili”. Sulla grande reticenza mostrata in questi giorni dalla stampa francese circa la crisi libica, Mihaely evoca due ragioni: “C’è una ragione geografica prima di tutto, perché l’Italia si ritrova in prima linea per quanto riguarda l’immigrazione e la minaccia militare, e in secondo luogo storica, perché la Libia è per l’Italia su scala ridotta ciò che l’Algeria è per la Francia. Tra la Libia e l’Italia c’è una storia molto più lunga e importante rispetto a quella tra la Libia e la Francia. Il passato lontano pesa molto di più dell’episodio del 2011”. De Montbrial è meno reticente: “L’avventura in Libia del 2011 è stata imprudente. Attorno a Sarkozy ci sono state alcune persone come Bernard Henri-Lévy che lo hanno spinto maldestramente a intervenire e la Francia è tra le principali responsabili dell’attuale caos libico. Nel 2015 il mondo è infinitamente più pericoloso rispetto a quanto non lo fosse nel 2011, soprattutto per i paesi del sud dell’Europa”.

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