Alexis Tsipras e Jean-Claude Juncker (foto LaPresse)

L'ambizioso Juncker e i retroscena dello stallo tra Atene e Bruxelles

David Carretta

Ancora un ultimatum, ancora due giorni per negoziare, ancora accuse reciproche, ma questa volta sono bastate solo due ore di discussione tra Yanis Varoufakis e gli altri ministri delle Finanze della zona euro per constatare l'impossibilità di un accordo sulla Grecia.

Bruxelles. Ancora un ultimatum, ancora due giorni per negoziare, ancora accuse reciproche, ma questa volta sono bastate solo due ore di discussione tra Yanis Varoufakis e gli altri ministri delle Finanze della zona euro per constatare l'impossibilità di un accordo sulla Grecia. Nel Chicken Game in corso dal 25 gennaio, l'ennesima rottura registrata ieri all'Eurogruppo spinge Atene e i suoi creditori europei sull'orlo del precipizio della “Grexit”. Come nel film Gioventù bruciata, il primo che balza fuori dall'auto – il primo che cede al ricatto dell'altro – perde la sfida tutta ideologica che si sta giocando attorno a una manciata di parole. Ma l'ideologica mal s'addice alla teoria dei giochi, di cui Varoufakis si vanta di essere un esperto. “Dobbiamo essere logici, non ideologici”, ha detto il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici. E la logica, almeno agli occhi di 18 ministri delle Finanze su 19, impone alla Grecia di firmare il compromesso messo sul tavolo dal presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. Se Atene non accetterà di chiedere l'estensione dell'attuale programma di salvataggio, in scadenza il 28 febbraio, a marzo dovrà finanziarsi da sola a tassi insostenibili. La liquidità necessaria a rimborsare 1,5 miliardi di debito al Fondo Monetario Internazionale sembra sul punto di esaurirsi. La Banca Centrale Europea potrebbe chiudere i rubinetti del programma Emergency Liquidity Assistance alle banche. I soldi a disposizione di Atene ci sono: 1,8 miliardi di prestiti, 1,9 miliardi di profitti realizzati dalla Bce, 10,9 miliardi su un conto riservato alla ricapitalizzazione e ristrutturazione delle banche. Le chiavi della cassaforte sono in mano all'Eurogruppo. E se il premier greco, Alexis Tsipras, non accetterà l'ultimatum nei prossimi due giorni, il 1o marzo “il denaro torna in Lussemburgo”, ha avvertito Dijsselbloem.

 

Dietro al braccio di ferro all'Eurogruppo si nasconde anche un fallimento di leadership collettiva a livello europeo, fatta di rivalità personali e piccoli giochetti politici. Varoufakis ieri ha svelato che era pronto a firmare uno “splendido” testo di compromesso preparato insieme a Moscovici, che avrebbe consentito a Atene di estendere il programma senza perdere la faccia di fronte al proprio elettorato. In sostanza, la bozza Moscovici non era sostanzialmente diversa da quella messa sul tavolo da Dijsselbloem, che ha provocato il secondo grande rifiuto greco. L'ultimatum dell'Eurogruppo prevede l'estensione, l'attuazione e la conclusione “dell'attuale programma” e l'impegno delle autorità greche a evitare “azioni unilaterali”. In cambio, l'Eurogruppo è pronto a usare “la flessibilità esistente” nel programma di assistenza per consentire alla Grecia margini di bilancio e modifiche al piano di riforme. Il testo Moscovici, invece, chiedeva a Atene di “impegnarsi a attuare le riforme per lottare contro la corruzione e l'evasione fiscale e migliorare l'amministrazione pubblica”, di agire con urgenza per assicurare “un sistema fiscale più equo e efficiente" e di “contenere la crisi umanitaria”. Ma le nuove misure – secondo la bozza Moscovici – non devono segnare “una marcia indietro rispetto agli impegni esistenti” e devono essere “pienamente finanziate”, mentre Atene deve a “astenersi da azioni unilaterali”. Il tutto doveva servire da base per “un'estensione dell'attuale accordo di prestito, che potrebbe prendere la forma di un programma intermedio di quattro mesi, come fase di transizioni verso un nuovo contratto di crescita per la Grecia”.

 

[**Video_box_2**]La delegazione greca ha accusato Dijsselbloem e il ministro delle Finanze tedesco, Wolfang Schaeuble, di aver affossato il testo Moscovici che, secondo Atene, avrebbe avuto anche il sostegno di Mario Draghi e Christine Lagarde. Moscovici, invece, ha spiegato che la posizione dei creditori internazionali è una sola. Diverse fonti europee hanno confermato che all'Eurogruppo era “18 ministri contro 1” sul testo Dijsselbloem. Secondo le indiscrezioni raccolte dal Foglio, c'è un'altra mano dietro al grande pasticcio delle bozze: il testo Moscovici era il frutto dei negoziati paralleli condotti in discrezione dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, con il premier greco, Alexis Tsipras. Rimasto in disparte e silenzioso nelle ultime tre settimane, Juncker avrebbe voluto ritagliarsi il ruolo di grande salvatore della Grecia e dell'integrità della zona euro, con un accordo dell'ultimo minuto, che avrebbe esautorato l'autorità del suo successore alla testa dell'Eurogruppo. Un modo per vendicarsi di Dijsselbloem, che in passato aveva criticato Juncker per la gestione caotica delle riunioni dei ministri delle Finanze durante la crisi, accusandolo di essere “un inveterato fumatore e un bevitore”. Non è solo l'ideologia che mal s'addice alla teoria dei giochi. Anche le piccole vendette personali e politiche. Il duo Juncker-Moscovici ha fornito a Dijsselbloem-Schaeuble e Tsipras-Varoufakis l'alibi per non saltare dall'auto greca in corsa verso la “Grexit”.