Alexis Tsipras (foto LaPresse)

Scenari

L'uscita della Grecia dall'euro è meno remota

Carlo Pelanda

La settimana scorsa sono emerse posizioni che alzano la probabilità di un esito Grexit della questione. Il governo Tsipras ha infatto mostrato atteggiamenti di sfida che eccedono la normale tattica negoziale per cercare il compromesso.

Fino a pochi giorni fa lo scenario più probabile relativo al caso greco appariva quello di un compromesso tra Atene e Bruxelles-Francoforte e della permanenza della Grecia nell’euro: si riteneva probabile, cioè, che la Ue riconoscesse l’impossibilità per qualsiasi governo greco di gestire la nazione sotto il peso del programma di austerità e che la Grecia riconoscesse la necessità di non abbandonare il binario di ordine concordato con la Troika (Commissione, Bce e Fmi). La settimana scorsa però sono emerse posizioni che alzano la probabilità di un esito Grexit della questione. Il governo Tsipras ha mostrato atteggiamenti di sfida che eccedono la normale tattica negoziale di partire da posizioni dure per cercare di rendere più favorevole il compromesso. La presentazione del programma governativo, poi, ha mostrato un’impostazione statalista-assistenzialista che non potrà portare più crescita all’economia greca, anzi. In sintesi, Tsipras ed il suo ministro delle finanze hanno dato una sorpresa negativa perché hanno confermato l’impostazione “peronista” recitata in campagna elettorale anche a porte chiuse dove gli interlocutori e gli osservatori si aspettavano una maggiore convergenza. In sintesi, in una settimana il governo Tsipras ha bruciato la propria credibilità come interlocutore della Ue.

 

Il fattore che sta più spostando lo scenario verso il Grexit deriva da nuove valutazioni, in ambiente eurofilo, sul rischio della vittoria eventuale di Podemos, con programma simile all’estrema sinistra-nazionalista greca, nelle elezioni politiche in Spagna nel prossimo settembre e, soprattutto, su quello di consolidamento del consenso alla destra nazionalista in Francia. Tale rischio può dirsi di contagio neoperonista dell’Eurozona e parecchi think tank si sono ingaggiati per, intanto, ipotizzare contromisure. Quella che al momento appare la più efficace è una soluzione di forte dissuasione: espellere la Grecia dall’Eurozona, sospendendola anche dalla Ue, come segnale sia all’elettorato spagnolo che Madrid farebbe la stessa fine sia a quello francese che la vittoria eventuale del Front National (nelle presidenziali del 2017)  implicherebbe la perdita della sua posizione di diarca in Europa. Sono solo ipotesi di scuola, al momento, ma si basano su un dato ben studiato: la maggioranza degli elettori greci e spagnoli vuole restare nell’euro e quella dei francesi non vuole rinunciare alla grandeur fornita dal ruolo europeo, pur sempre più di numero due dietro Berlino, di Parigi. Da tali analisi deriva l’approfondimento di una opzione dissuasiva che rovesci il governo greco e permetta, in tempo utile, ai popolari e socialisti centristi spagnoli di poter mostrare che non è il caso di finire nella brace.

 

Il decisore geopolitico finale non sono però la Ue o la Germania, ma gli Stati Uniti. La priorità americana è di tenere la Grecia nella Nato e la Russia, nonché la Cina, fuori dalla Grecia stessa. Fino a poco fa tale obiettivo era considerato perseguibile lasciando ben agganciata alla Ue la Grecia. Ma la nuova situazione sta sollecitando l’analisi di altre opzioni. Per esempio, una Grecia espulsa ed in convulsioni sarebbe più facilmente cooptabile nella sfera di protezione diretta americana, che potrebbe includere anche Cipro. Quindi non si può dare per scontato che l’America forzerà la Germania e la Ue a tenere Atene nell’eurosistema. Ovviamente un fattore di freno alle opzioni dette è costituito dall’impatto dell’insolvenza del debito greco. Ma si tratta di 300 miliardi di euro, di cui più della metà in mano a Stati creditori, cifra assorbibile ed impatto perimetrabile per evitare contagi. In particolare, se i rischi di un’insolvenza minore riducessero per dissuasione quello di divergenza ed insolvenza della Spagna, il cui volume di debito ha dimensioni tali da eccedere le capacità di assorbimento e limitazione del contagio globale, allora tale mossa potrebbe essere presa in seria considerazione.

 

[**Video_box_2**]Appare doveroso però valutare l’interesse di Roma nello scenario che si sta sviluppando. Finora il pensiero standard è stato quello di sostenere un compromesso tra Grecia ed Ue per evitare che l’insolvenza greca facesse scommettere il mercato su una italiana. Ma, a parte l’incomparabilità tra Grecia ed Italia per la natura di potenza industriale della seconda, è evidente che nell’opzione Grexit la Bce agirebbe più chiaramente come garante di ultima istanza del debito italiano senza opposizione della Germania interessata a tenere compatto il fronte eurofilo. Inoltre, nel montaggio di uno schema dissuasivo contro i movimenti neo-peronisti e nazionalisti l’Italia ha una posizione chiave che certamente la Germania dovrà riconoscere per non restare isolata, vantaggio notevole per Roma se riuscirà a darsi un po’ più di ordine e crescita. In conclusione, la rubrica preferisce una soluzione di convergenza che mantenga la Grecia nell’euro e che l’irrazionale governo Tsipras venga riportato a razionalità nell’ambito di un compromesso. Ma annota che l’opzione Grexit ha certa fattibilità ed utilità.

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