Matteo Renzi e Silvio Berlusconi

Patto o non patto?

Claudio Cerasa

Perché Renzi ha bisogno di Berlusconi più di quanto Berlusconi abbia bisogno di Renzi - di Claudio Cerasa

Roma. Il tema è centrale, gira tutto attorno a questo punto – il futuro del governo, il futuro di Renzi, il futuro della legislatura, delle riforme, e un po’ anche dell’Italia – e non possiamo che ritornarci anche noi: patto, patto, patto, Nazareno, Nazareno, Nazareno. Ma come stanno davvero le cose? E soprattutto, a un anno di nascita dal governo Renzi, si può dire se questo patto sia convenuto più al contraente numero uno, il presidente del Consiglio, o sia convenuto più al contraente numero due, il capo di Forza Italia? I patti, si sa, hanno spesso delle composizioni non omogenee: non sempre sono paritari, non sempre i contraenti hanno il cinquanta e il cinquanta; spesso, come è questa volta tra Renzi e Berlusconi, uno dei due ha una forza decisamente superiore; e per forza di cose bisogna mettere nel conto che uno dei due, se è più forte, qualche volta se ne possa approfittare (hashtag #birichino, hashtag #emendamentoSuMediasetDa25milioni).

 

Ciò che però spesso sfugge anche agli osservatori più attenti è che quello tra Berlusconi e Renzi è un patto numericamente sproporzionato e sbilanciato verso il Pd (il premier ha il triplo dei parlamentari di Forza Italia) ma è un patto da cui chi ci guadagna di più è Renzi più dello stesso Berlusconi. Dal patto con Renzi, ovviamente, il Cavaliere ha un vantaggio politico che appare evidente: valutare con intelligenza e responsabilità e senza cecità e pregiudizi ideologici le riforme renziane è il modo migliore per contendere e non regalare al Pd un pezzo importante, centrale, dell’elettorato italiano – e la linea di chi sogna di rincorrere Salvini o magari Grillo è una linea a vocazione suicida (se ci sono già due partiti che urlano, un terzo partito che urla non si capisce che spazio potrebbe avere). Questo per quanto riguarda il Cav. Ma se ci pensate bene il segretario del Pd, politicamente, ha probabilmente bisogno di Berlusconi più di quanto Berlusconi abbia bisogno di Renzi. Per una ragione insieme numerica ma anche culturale. Passi per la legge elettorale, che con un colpo da biliardo il presidente del Consiglio è riuscito ad approvare al Senato con i voti di Forza Italia prima dell’elezione del presidente della Repubblica – e alla Camera il Pd ora ha i numeri per farla passare senza l’appoggio di Berlusconi (e se il Cav. non ci sta, Renzi è pronto ad aumentare le preferenze e a diminuire i capilista bloccati, come chiede la minoranza del Pd e come non vorrebbe Forza Italia). Passi per questo, ormai è andata, ma per il resto? Il ragionamento è lineare. Renzi è arrivato a Palazzo Chigi per fare le grandi riforme, soprattutto quelle istituzionali. Il piano delle grandi riforme è nato all’interno di un patto con Forza Italia e si regge con quei voti. E il piano è nato all’interno di questo patto perché Renzi sa che per tenere a bada la minoranza conservatrice del suo partito ha bisogno di trovare una sponda in chi (parliamoci chiaro) su quelle riforme la pensa come lui (Forza Italia).

 

[**Video_box_2**]Se c’è questo patto, c’è Renzi. Se non c’è questo patto, Renzi potrà anche provare ad arrampicarsi sugli specchi delle sue mille magnifiche maggioranze variabili ma il suo governo perderebbe di senso e diventerebbe qualcosa di simile a una romantica ammucchiata priva di colore. Il premier ha ragione quando dice che tecnicamente si possono fare le riforme senza Forza Italia. Ma sa bene che consegnarsi a un Pd che ha nel suo Dna la vocazione a smacchiare i giaguari (compresi quelli nati a Rignano) potrebbe non essere un’idea geniale. Anche per questo il patto che tutti dicono essersi rotto ma che in realtà si è soltanto allentato non potrà che tornare presto alla sua dimensione naturale. Conviene a Berlusconi, certo. Ma, sempre che di mezzo non ci sia voglia di andare a votare, conviene soprattutto anche a Matteo Renzi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.