Matteo Renzi con il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan

La svolta politica di Renzi dietro la norma sul "voto multiplo"

Renzo Rosati

Nella partita tra Matteo Renzi e potere bancario old style, impersonato dalle banche popolari, la palla la prende il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Che conferma e avverte. La conferma: il governo non darà alle società quotate nessuna deroga al termine per approvare l'introduzione del voto multiplo.

Nella partita tra Matteo Renzi e potere bancario old style, impersonato dalle banche popolari, la palla la prende il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Che conferma e avverte. La conferma: il governo non darà alle società quotate nessuna deroga al termine, scaduto il 31 gennaio, per approvare a maggioranza semplice (anziché di due terzi) l'introduzione del voto multiplo. Di che si tratta? Della possibilità per i soci da più di 24 mesi di far contare di più le loro azioni, rafforzando il controllo. La norma, contenuta nel decreto Competitività del giugno 2014, mirava a favorire start up e quotazioni, ma ha rischiato di trasformarsi in uno strumento a difesa dell'esistente: se ne sono servite, tra le big, Campari, Astaldi e Amplifon. Soprattutto, il voto multiplo è stato inserito - accanto alla minaccia di ricorso alla Corte costituzionale - nella cosiddetta autoriforma delle banche popolari, contro le quali Renzi è sceso in campo modificando, per le maggiori, la regola di un voto per testa, una forma di trasmissione perpetua del potere locale.

 

Contro la proroga del voto multiplo si erano schierati economisti e fondi italiani e stranieri che in una lettera al ministro hanno paventato una fuga di investitori. Padoan ha chiarito le cose. Contemporaneamente ha lanciato un avvertimento al mondo bancario e al Parlamento: "Sulla riforma delle popolari non si torna indietro. Anzi, si accelera". Il decreto-popolari, sul quale Renzi si è detto pronto a mettere la fiducia ("In Italia ci sono troppi signorotti e poco credito") sta per sbarcare alla Camera, dove i capigruppo nella commissione Finanze e Attività produttive, Daniele Capezzone (FI) e Guglielmo Epifani (Pd) sembrano sensibili all'autoriforma, così come un altro Pd, il relatore Marco Causi. Mentre il voto multiplo era stato difeso da Massimo Mucchetti, già commentatore del Corriere della Sera e portato in Parlamento da Pier Luigi Bersani.

 

[**Video_box_2**]Manovre in corso che spostano l'attenzione a un livello più alto: cioè al rapporto con le banche di Renzi e del suo governo, rapporto assai diverso rispetto ai suoi predecessori, soprattutto di sinistra. Con Romano Prodi ci fu la famosa parata alle primarie dell'Unione (2005) e poi del Pd (2007) delle stelle del firmamento bancario: Alessandro Profumo, Corrado Passera, Giovanni Bazoli, Giuseppe Mussari. In era Massimo D'Alema furoreggiò il rapporto diretto con manager come Nicola Rossi, Vincenzo De Bustis, Giovanni Consorte. Per il centrodestra, Giulio Tremonti teorizzava la "banca di sistema" spesso con quegli stessi (tipo Profumo e Batoli) già schierati a sinistra. La Ditta bersaniana e la Cgil appaiono attente alle ragioni delle Popolari e alle consorelle Cooperative: vedi alla voce Epifani ma anche Stefano Fassina, Susanna Camusso e Mucchetti, il quale già si era speso contro la riforma (scrivendo una lettera ad hoc all'allora premier Enrico Letta) quando la chiedeva la Banca d'Italia. Ora, con le banche sotto stress test e a rischio capitalizzazione, Renzi ha assunto una linea mercatista. Sfidando accuse e pissi pissi di svendere l'Italia e favorire "i suoi amici speculatori".

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