Sergei Lavrov

Con cosa fa rima Cremlino? Le poesie di Lavrov, ministro degli Esteri di Putin

Anna Zafesova

Se nel suo lavoro principale appare un duro, interlocutore scomodo e spigoloso, nella sua poesia sembra attingere ispirazione dal romanticismo e dalle tradizioni dei classici russi. Uno spaccato curioso dell'immaginario di una generazione di élite moscovita.

Non solo è il capo della diplomazia russa più longevo dopo Gromyko, ma è anche il più intellettualmente raffinato: in mezzo a negoziati, viaggi, conferenze e telefonate in tutte le lingue, Sergei Lavrov trova anche il tempo di scrivere poesie. E se nel suo lavoro principale appare un duro, interlocutore scomodo e spigoloso – come quella volta che, mostrando una perfetta padronanza dell'inglese colloquiale, insultò l'ex ministro britannico David Miliband – nella sua poesia sembra attingere ispirazione dal romanticismo e dalle tradizioni dei classici russi. E dalla tradizione russa il poeta Lavrov prende anche l'impegno politico: almeno nelle poesie scelte per la pubblicazione sulla rivista “Russky pioner” il tema della storia, del passato e del futuro della Russia è un filo rosso, e la parola “Patria” viene ripetuta spesso e sempre con la maiuscola. Come nei versi del 1995 dedicati ai russi che vanno a vivere all'estero: “Emigrati non è una parola russa, ma è diventata nostra, il destino sorride come una strega e il Paese non si accorge cosa ha perso”. Oppure nella dilogia “Brindisi prima di partire”, dedicata a un collega diplomatico che va a lavorare a New York (“città rumorosa, metropolitana e arrogante”), dove viene rimpianto il tempo di quando “eravamo orgogliosi del Paese che ci copriva sempre le spalle, il Paese non c'è più, ma l'orgoglio chissà perché è rimasto”.

 

D'altra parte, non può essere altrimenti per un diplomatico di carriera che ha lavorato per anni al Palazzo di vetro e che tra i suoi componimenti poetici vanta anche il testo dell'inno ufficiale di Mgimo, l'Università di Relazioni internazionali alma mater dell'élite sovietica e post-sovietica. Il numero del “Russky pioner” – rivista che tra reportage e saggi di grandi firme, letteratura e column di personaggi cult, tra cui molti esponenti dell'opposizione, vorrebbe essere qualcosa di simile a un New Yorker moscovita – è dedicato all'”Estero”, quella parola onnicomprensiva, “zagraniza”, che per un ex sovietico rappresenta l'altro, il proibito, il mondo là fuori da desiderare, affrontare e respingere contemporaneamente. E il tono dei componimenti di Lavrov, un diplomatico di vecchia scuola sovietica, è intriso proprio di questo sentimento ambivalente, che lo spinge a consigliare i suoi giovani colleghi nell'inno universitario a “condividere la gloria e la vergogna” del Paese che rappresentano. Nella realtà i suoi interlocutori conoscono un Lavrov che non ammette mai errori russi,  il suo alter ego lirico appare più tormentato ma altrettanto convinto che la Russia ha una strada che non porta in occidente: “Il cavallo bianco porterà nel regno della libertà un catafalco”, scrive in una lunga poesia del 1990 pubblicata su un numero precedente della rivista.

 

[**Video_box_2**]Lo stile è un po' ingenuo, ricorda i concorsi dei cantautori dilettanti tanto amati dall'intelighenzia sovietica (e Lavrov cita spesso “notti passate a suonare la chitarra” con gli amici), con una sovrabbondanza romantica di carrozze, spade, falò, cavalli scalpitanti, amici fedeli e onore. Ma le rime del ministro degli Esteri di Putin sono uno spaccato curioso dell'immaginario di una generazione di élite russa, tra nostalgia dell'impero e ideali di grandezza, con uno spazio considerevole per il sentimentale ricordo della giovinezza sovietica (con ricordi di bevute tra studenti, esplorazioni della Siberia e addirittura di “fughe nella notte dai poliziotti” in una situazione imprecisata, ma sicuramente sconveniente per il curriculum di un ministro). Uno stile e un messaggio diversi anni luce da un altro uomo di lettere vicino a Putin, lo spin-doctor Vladislav Surkov, al quale gossip ben fondati attribuiscono sia la paternità di buona parte della crisi ucraina sia tre romanzi di scrittura intricata e moderna (pubblicati sotto lo pseudonimo di Natan Dubovitsky sempre sul “Russky Pioner”) dove l'alter ego del protagonista è il quarantenne cinico in cerca di ricchezza e potere distrutto dall'amore. Ma la letteratura è una passione nazionale, e anche il ministro dello Sviluppo economico Alexey Uliukaev è alla terza raccolta di poesie, ritmati componimenti di otto righe pieni di pessimismo cosmico e disgusto per il potere. E Yuri Andropov, che prima di insediarsi al Cremlino per anni aveva dato la caccia ai dissidenti a capo del Kgb, scriveva rime d’amore dedicate alla moglie e versetti ironici in cui non disdegnava anche qualche parolaccia.

Di più su questi argomenti: