Matteo Renzi (foto LaPresse)

Forza Italicum

Il Patto del Nazareno salta sul canguro, minoranze inconsolabili. E il Cav. ride

Marianna Rizzini

Emendamenti scavalcati al Senato, la legge elettorale avanza, sinistra pd in assemblea: ma la scissione ora no.

Roma. I due Pd alla guerra dei mondi si guardano storti fin dal mattino, al di qua e al di là di una barricata costruita attorno all’idea del “supercanguro”, l’emendamento cancella-emendamenti di Stefano Esposito, senatore turborenziano. E il supercanguro vince con 175 sì, 110 no e due astenuti: resta lo scheletro “nazareno” dell’Italicum, la legge elettorale da approvare definitivamente in Senato settimana prossima. Spariscono 35.800 emendamenti su oltre 47 mila: è l’Italicum con premio di lista, l’Italicum con i capilista bloccati che la minoranza pd aveva cercato di cancellare (ma gli emendamenti del senatore ribelle Miguel Gotor non passano). Si mostra ottimista Matteo Renzi dal Forum economico mondiale di Davos; esulta Forza Italia (“il Pd non ha più la maggioranza in Senato”, “Forza Italia torna centrale”, dicono Silvio Berlusconi in persona e il capogruppo di FI in Senato Paolo Romani – intanto si diffonde la notizia che Berlusconi ha lanciato il nome di Antonio Martino per il Quirinale, ma Martino, al telefono con “La Zanzara”, dice che quello gli pare piuttosto “uno scherzo da prete”). I ventinove senatori dissidenti del Pd, firmatari, alla vigilia del voto, del cosiddetto “documento Gotor”, poi sconfitti in Aula, sentono il premier dire che il percorso delle riforme “andrà avanti” e che lui, Renzi, “prende atto” che una parte della minoranza “ha scelto di andare in autonomia”, una scelta che lui “rispetta” pur “non condividendola”, ma, “come si è visto”, tale scelta è “ininfluente per l’esito finale”. Che cosa diranno i militanti delle feste dell’Unità?, è la domanda retorica del premier (e tutto quel popolo da festa con salamella, un tempo bersaniano e comunque nostalgico del bel Pci-Pds-Ds-Pd storico che fu, viene evocato come avamposto del nuovo che avanza).

 

Perché anche nel lessico e nei simboli la guerra dei mondi si dispiega, e vorrebbe forse dispiegarsi fino alla votazione del presidente della Repubblica o, se non fino a elezioni anticipate che quasi nessuno ora vuole, neppure nella minoranza, fino a una resa dei conti (congresso anticipato?) che qualcuno, negli ambienti dissidenti, aveva considerato, giorni fa, tra i sogni non così impossibili. E però la maggioranza pd ha tenuto, e il patto del Nazareno pure (anche Forza Italia ha i suoi scontenti: “Con amarezza, constato che la linea scelta da Berlusconi consiste nell’esaudire i desideri di Renzi e nel soccorrerlo nei giorni difficili”, dice l’eurodeputato di FI Raffaele Fitto, alla guerra dei mondi di centrodestra e non da oggi). Altre minoranze, intanto, borbottano: per il M5s “nasce il partito del Nazareno”, per la Lega di Matteo Salvini è roba “da regime”, per la senatrice Loredana De Petris di Sel è “una vergogna”.

 

“Nasce l’asse Gotor-Salvini-Fitto”

 

Ma la guerra tra chi sta negli stessi confini parlando lingue diverse era già lì e lì è sempre stata, mezza-negata (a parole) e mai cancellata: i reduci di altre epoche ex Pci-Pds-Ds-Pd contro la truppa dell’uomo nuovo Matteo Renzi (anche se molti “reduci”, un anno fa, sono passati dalla parte dell’uomo nuovo). E dunque è nel Pd che il tormento degli uni si specchia nell’estasi degli altri. A metà pomeriggio, infatti, in un’aula della Camera, va in scena una (già programmata) assemblea di circa centocinquanta senatori e deputati non allineati con Renzi. Pier Luigi Bersani chiede “rispetto” (sennò è “finita”, dice, ma non parla di scissione, macché). E Miguel Gotor, interpellato da questo giornale, al Renzi che parla di dissidenti ininfluenti risponde che “il Pd è un grande partito e, se vuole restare tale, deve includere una pluralità di posizioni anche diverse tra loro. Questo è il compito del segretario del Pd che sa bene che siamo tutt’altro che ininfluenti proprio perché siamo e vogliamo restare nel Pd che è casa nostra. Non esiste alcuna possibilità di scissione, nel modo più categorico: la nostra battaglia sull’Italicum si è svolta nel solco della storia presente, passata e futura del Pd”.

 

[**Video_box_2**]Fatto sta che alla riunione c’è tutta la dissidenza più “esplicita”, da Stefano Fassina a Pippo Civati. I due mondi, per ora, non si capiscono, nonostante le parole concilianti del vicesegretario Lorenzo Guerini e del capogruppo alla Camera Roberto Speranza (“unire il partito”). Tanto non si capiscono che il deputato renziano Alfredo Bazoli definisce “improvvida” la decisione della minoranza in Senato: “Ha indebolito il Pd in una fase delicata che precede l’elezione del presidente della Repubblica. Ora Berlusconi può dire che i suoi voti sono determinanti”.  “Consolidato l’asse Gotor-Salvini-Fitto”, è la sintesi del vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, renziano ma (un anno fa) fan solitario del ritorno al Mattarellum.

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.