Filippo Penati (foto LaPresse)

Chi paga per Penati?

Redazione

Dopo la ritrattazione del teste, restano gli effetti del tritacarne manettaro. Una promettente carriera politica è stata stroncata, si sono sparsi schizzi di fango su tutti, anche se non si è trovata alcuna traccia del “malloppo” che sarebbe stato intascato.

Nell’interminabile procedimento giudiziario contro Filippo Penati, già sindaco di Sesto San Giovanni, presidente della provincia ambrosiana e coordinatore della campagna vittoriosa di Pier Luigi Bersani nelle primarie democratiche, si è verificato un colpo di scena decisivo. Il principale teste d’accusa ha smentito tutto, dichiarando di aver mentito perché temeva, dopo l’arresto, che se non avesse detto il nome che i magistrati volevano sentire non sarebbe più uscito dal carcere. A suo tempo avanzammo il dubbio che su questa vicenda si fosse costruito un caso colossale sulla base di pochi indizi materiali, che configuravano al massimo finanziamenti irregolari, non corruzione e concussione e tanto meno un “sistema Sesto” come scrissero invece tutti gli altri giornali, compresi quelli legati al Pd.

 

Non si sa come finirà il processo, perché è sempre difficile che le responsabilità degli inquirenti vengano sanzionate come dovrebbero, vista la sostanziale immunità di tipo quasi omertoso che protegge la magistratura. Intanto una promettente carriera politica è stata stroncata, si sono sparsi schizzi di fango su tutti, anche se non si è trovata alcuna traccia del “malloppo” che sarebbe stato intascato da Penati. Il tritacarne mediatico-giudiziario, attivato dalla tortura rappresentata dalla carcerazione preventiva che induce i testimoni a mentire per salvarsi, ancora una volta ha dato i suoi frutti avvelenati. Sarebbe bene che quelli che derisero allora le nostre proteste garantiste riflettessero, ma sappiamo bene che non lo faranno.

 

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