Militari francesi a Parigi. Resta elevata l'allerta dopo gli attentati di questi giorni

Come costruire un'alleanza occidentale coesa contro i focolai jihadisti

Carlo Pelanda

Finora la reazione molto debole delle democrazie europee all’evento di Parigi e il disingaggio dell’America nei geoteatri rilevanti offrono alla strategia del Califfato uno spazio di non-contrasto.

La strage di Parigi ha avuto un successo simbolico per i portatori dell’interpretazione violenta del Corano che vogliono prendere il comando dell’islam sunnita, riorganizzandolo come Califfato esteso dall’Africa sub-sahariana all’Asia centrale, con propaggini per ulteriori espansioni nel sud-est asiatico, in Europa, nel Caucaso, in India e nella Cina nordoccidentale. Tale progetto esibisce un eccesso di ambizione. Ma la reazione molto debole delle democrazie europee all’evento di Parigi e il disingaggio dell’America nei geoteatri rilevanti offrono alla strategia del Califfato uno spazio di non-contrasto che facilita il disegno e ne alza la probabilità di realizzazione. Questa non è ancora elevata, ma è sufficiente per accendere un primo fuoco di instabilità globale che richiede spegnimento immediato prima che si diffonda. Il punto: di fronte a questa minaccia non basta il solo miglioramento della collaborazione internazionale tra servizi segreti, cioè un assetto difensivo, ma è necessaria una proiezione di potenza offensiva per distruggere i diversi gruppi islamisti prima che possano essere uniti dal Califfato. Quali l’urgenza e la necessità di un ingaggio diretto della forza militare occidentale? L’azione corrente di contrasto del progetto islamista si basa sull’aiuto indiretto da parte dell’occidente ai governi locali che impiegano le loro truppe per contenere l’espansione islamista. Ma la Nigeria non riesce a fermare Boko Haram. Lo Stato islamico è stato fermato, ma non è oggetto di vero attacco.

 

Ci vorrebbe l’ingaggio della Turchia, ma questa, con la scusa di voler prima la fine del regime di Assad in Siria, teme in realtà di importare il jihadismo in casa e sta ferma. La filiale dello Stato islamico in Libia è indisturbata. L’Egitto, che potrebbe disturbarla, è cauto perché non vede alleanze credibili per tale azione. Gli stati arabi quali Arabia, Emirati, Algeria, Marocco, ecc., infatti, si difendono un po’ con le armi dei servizi interni e molto via accordi riservati con i gruppi jihadisti con il risultato di lasciarli intatti in una vasta area. I più strutturati di questi stanno attraendo musulmani residenti in occidente perché offrono avventura, soldi e, soprattutto, una profezia di vittoria finale. Tale situazione sta mettendo in difficoltà i predicatori islamici non-violenti che stanno cedendo terreno all’islam violento. Per questo sono urgenti interventi diretti della forza militare occidentale con obiettivi sia di bonifica reale sia di indebolimento simbolico del jihad.

 

[**Video_box_2**]L’occidente deve selezionare i casi di maggior utilità e fattibilità, che per la rubrica sono: 1) Boko Haram (bonifica totale); 2) al Shabaab, Somalia (bonifica totale); 3) jihadisti libici (annichilazione selettiva e dissuasiva, possibili accordi con le tribù). Tali aree africane possono essere trattate con importanti sostegni locali e per questo sono una priorità per la limitazione del jihadismo. Gli altri punti richiedono interventi complessi la cui organizzazione richiede tempo. In conclusione, l’occidente deve prendere una postura offensiva e avviare una sequenza di bonifiche. Le azioni terroristiche servono a dissuaderlo dal farlo, riuscendoci con governi timorosi e un’opinione pubblica confusa e debellicizzata. Questo articolo ha lo scopo di chiamarne altri per un concorso di idee che mostri un pensiero occidentale forte che non esiti a ri-bellicizzare il consenso nelle democrazie. Penna e spada, questa la giusta vignetta.

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