Non è la mia guerra santa, e se mi ammazzano voglio l'obitorio singolo

Maurizio Crippa

Tolte certe derive secolariste già stigmatizzate a suo tempo da Enzo Jannacci (“Sì ma qui / che l’amore si fa in tre”) resiste inequivoco il concetto che per fare la guerra, financo quella santa, tocca essere in due. L’occidente attaccato e minacciato si metta in armi, se ne è capace.

Tolte certe derive secolariste già stigmatizzate a suo tempo da Enzo Jannacci (“Sì ma qui / che l’amore si fa in tre”) resiste inequivoco il concetto che per fare la guerra, financo quella santa, tocca essere in due. L’occidente attaccato e minacciato si metta in armi, se ne è capace. Ma per una guerra normale. Santa, no. E non perché lo dica Papa Francesco (e prima di lui gli altri Papi). Noto soltanto che il 20 settembre 2001 il presidente Bush tenne un discorso al Congresso (“Freedom & Fear at war”) in cui sostenne che i terroristi tradiscono la propria fede. E della guerra al terrore che preparava, disse: “Noi non la consideriamo una guerra di religione, in qualche modo o forma”. Perfino Paul Wolfowitz disse che “il nostro nemico è il terrorismo e non l’islam”. Al Centro islamico di Washington, il presidente born again christian fece un passo in più: “Questi atti di violenza perpetrati contro innocenti violano i principi fondamentali della fede islamica. (…) Il volto del terrore non è il vero volto dell’islam. L’islam non è così. L’islam è pace”. Sapeva di mentire? Probabile che sì. Ma ciò che qui importa non è la natura dell’islam. Importa che un capo di stato e Commander in chief, tra l’altro non proprio il mio eroe dei fumetti preferito, in quanto capo di stato e Commander in chief condusse una guerra specificando che non era una guerra santa. Un capo di stato che dichiara una guerra santa, nel ventunesimo secolo, è una aporìa. Oppure è il califfo. Se per Bush andava bene, perché ora non più? Perché dovrebbe invece indirla Hollande, o il Papa? E perché non avrebbe fatto bene Benedetto XVI, a suo tempo, a precisare quel che il Professor Ratzinger aveva detto? Non è un tema che mi appassioni più di tanto. Constato pertanto che l’occidente, concetto magnificamente relativo, sa benissimo che non si dichiarano guerre sante. Lo facciano gli altri, se credono (inteso: ritengono).

 

Quando stava per scatenarsi la guerra contro Assad, che avrebbe dato il colpo di grazia agli ultimi cristiani sopravvissuti al tentativo di esportare la democrazia in medio oriente sfruttando la bella stagione, Francesco convocò un digiuno in piazza per scongiurarla. Il concetto di guerra santa è appartenuto, in modo vario e spurio, alla storia del cristianesimo. Credo che la sua riuscita più fulgida sia stata la Quarta crociata, Settimana Santa del 1204, quando i veneziani misero a sacco Costantinopoli e massacrarono i fratelli in Cristo, ponendo le basi del definitivo declino dell’impero cristiano d’oriente. Oggi per il cattolicesimo è una parola impronunciabile. Già si fatica a parlare di guerra giusta, ragione o torto che si abbia. Ma santa, mai. Perché così è nel Vangelo, e l’auto-comprensione che la chiesa sviluppa nel tempo di se stessa a poco a poco ha messo a fuoco il concetto. Ed è assai diverso, credo, affermare questo, che non limitarsi alla vulgata in base alla quale il cristianesimo si sarebbe semplicemente arreso a una sconfitta storica.

 

Dunque si torna al paragrafo uno: per fare la guerra santa bisogna essere in due. Se pure l’islam ce l’ha scritta nel suo Corano, il cristianesimo no. L’occidente, non so. Sono convinto che l’occidente che non sia più cristiano, e dunque le motivazioni della sua guerra – che possono benissimo essere anche le mie, in quanto cittadino occidentale – se le deve cercare altrove. Non nel cristianesimo. Mentre il cattolicesimo dovrà riflettere sul fatto di non essere più, da tempo, una religione occidentale.

 

Leggo sempre più spesso – in questi giorni, poi – appelli a ritrovare le radici del cristianesimo (purgate dal secolarismo però, va da sé) ora che l’islam ha iniziato a menare sulla debauche occidentale. Ho letto Ostellino dirsi figlio del cristianesimo, pur attaccando il “Papa pauperista” che “detta la linea fra l’ottuso entusiasmo di fedeli che mostrano di credere ben poco nel messaggio di Cristo”. Leggo Panebianco per il quale è “una falsità” sostenere “che chi uccide in nome di Dio non sia un ‘vero credente’. Dimenticando che gli uomini si sono sempre ammazzati fra loro in omaggio a un Dio o a un pugno di dèi”. E che se oggi gli europei non sono più disposti a farlo, “ciò dipende anche dal fatto che sono tanti gli europei che non credono più in Dio”. Facendo il percorso à rebours, è come sostenere che c’è bisogno di ri-credere in Dio, per poter combattere questa nuova guerra. Quello di Panebianco è un modo diverso, meno rozzo di altri, di disegnare il confine della guerra santa. No, non è ciò che penso io, non ho nessun interesse a pensarla come Panebianco e nemmeno a combattere, sulla base di questi parametri di teologia politica, la stessa guerra. Sono idee che però affascinano anche tanti cristiani, lo so. Che dire? Che sbagliano, e delle loro scalmane non mi frega altro. Credo di capire benissimo cosa intenda il mio direttore Giuliano Ferrara quando, con paradossale struggimento, confessa “una pena profonda e un’ammirazione per il loro fanatico coraggio… in un certo senso, di origine cristiana”. (Ma per puntiglio, negherò di capirlo). Ceronetti qualche mese fa parlò della sua inusitata pena davanti alla morte del cristianesimo. A tutti quanti fa un po’ nostalgia, in fondo, il caro estinto.

 

Ma insomma, un’altra volta ancora il cristianesimo testé dichiarato defunto dovrebbe rianimarsi, per fare il gregario di borraccia che porta acqua al riarso occidente che a Gesù Bambino ha detto addio. Si può diventare cristiani, oggi, in Europa? Anche sì. Ma non perché il Califfo spaventa. Fu il grande storico Remy Brague, oltre vent’anni fa, a inventarsi la parola “cristianista”. Non per cattiveria, no. Anzi “quelli che difendono il valore del cristianesimo e il suo ruolo positivo nella storia mi sono di certo più simpatici di quelli che lo negano – disse –. Io non intendo certo scoraggiarli. Mi piacerebbe persino che in Francia fossero più numerosi… Soltanto, io vorrei ricordare loro che il cristianesimo non si interessa a se stesso. S’interessa a Cristo. E anche Cristo stesso non s’interessa del proprio io: Lui s’interessa a Dio, che chiama in un modo unico, ‘Padre’. E all’uomo, a cui propone un nuovo accesso a Dio”.

 

Grazie Remy, ma the times they are a-changin’. Mi sono convinto, e magari se ne avrà amale pure monsignor Parolin, che sia giunto il momento di separare il destino dell’occidente da quello del cristianesimo. Almeno nel concetto. Francesco andò dal Saladino, la custodia dei Luoghi santi è a tutt’oggi affidata ai francescani nel nome di quell’incontro che avrebbe dell’incredibili ancora adesso. Può darsi che non valga più per l’islam del 2015, che vedremo presto sventolare le bandiere nere. Ma il resto è lettera morta, l’occidente e il cristianesimo si sono voltati le spalle reciprocamente. Non sarà una chiamata alle armi a organizzare la rimpatriata.

 

[**Video_box_2**]Poi si può anche criticare l’irenismo. Nonché la mancanza di un pensiero, in Europa, capace di misurarsi con la sfida che l’islamismo radicale pone. E si può finalmente cominciare a dire, anche da parte delle chiese cristiane, che serve una revisione che permetta all’islam di criticare alla radice la propria teologica politica. Il nostro nuovo Son of Bitch ha detto che l’islam non può più essere percepito come “fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione”. Ma non si vede perché il contributo richiesto al cristianesimo, in questa complessa fase della Storia, sia di ridiventare fonte di ansia per gli altri. E chissà se davvero la chiesa non è capace di giudicare quanto avvenuto a Parigi, non lo so. A Parigi è stata fatta fuori l’idea che quello sotto attacco sia l’occidente in quanto cristiano. Erano dei simpatici bestemmiatori, quelli di Charlie, abituati da quattro secoli ad avere l’ultima parola su Dio. Non ho niente contro tutto questo, ma non è la stessa cosa.

 

Prima che ricominci il casino, come nel 2001, vorrei fosse messo agli atti. Se devo essere ammazzato da un kalashnikov islamista, voglio essere ucciso in quanto cristiano, e non come fiancheggiatore di una guerra santa che non appartiene né alla mia chiesa né al mio Dio. Niente di personale, of course, ma mi sento quasi meglio a dire JeSuisCharlie che JeSuisPanebianco. Se mi ammazzano, voglio avere diritto a camere ardenti separate, e in obitorio a un lettino singolo. Almeno per la privacy.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"