La versione di Alleva

Ecco perché l'Italia può scrollarsi la recessione di dosso. Parla Mr. Istat

Alberto Brambilla

Nel primo trimestre il pil avrà segno più, “segnali” da industria e consumi. Il calo del petrolio sarà neutro per il pil ma peserà sui prezzi. Ma il caos globale limita la visuale. Draghi intravede deflazione.

Roma. Non è consueto lasciarsi andare a previsioni ottimistiche per i vertici dell’Istituto nazionale di statistica. Anche per questo la frase vergata dal presidente Giorgio Alleva nell’ultimo bollettino mensile Istat del 2014 assume notevole rilevanza. “La fase di contrazione dell’economia italiana è attesa arrestarsi nei prossimi mesi in presenza di segnali positivi per la domanda interna”. Significa che davanti al prodotto interno lordo tornerà il segno più, dopo una contrazione del pil durata tre anni, e 7 punti persi dal 2007, quasi senza soluzione di continuità. Alleva, una carriera accademica all’Università Sapienza di Roma culminata con la cattedra di statistica, è in carica dal luglio scorso – ha sostituito Enrico Giovannini, chiamato da Letta al ministero del Lavoro, dopo un periodo di vacanza della dirigenza dell’ente – e parlando al Foglio motiva la revisione ma premette cautela nel trattare le conclusioni. “E’ difficile fare previsioni nel lungo periodo, a breve è più facile ma permane incertezza, bisogna fare delle ipotesi su una serie di scenari internazionali integrati e fluidi. Le previsioni vanno considerate con un certo margine di flessibilità”. La cautela è d’obbligo e l’Istat, al pari del Centro studi di Confindustria, non è il solo istituto a preventivare una lieve crescita a fine anno. Ma per Alleva fin d’ora “ci sono alcuni segnali coerenti che fanno pensare alla fine della fase recessiva nel primo trimestre del 2015”.

 

Quali? “Si tratta della prosecuzione delle tendenze viste alla fine dell’anno passato, riguardano l’industria e i consumi”. “Abbiamo registrato in ottobre un aumento del fatturato industriale e un incremento dell’attività produttiva del settore delle costruzioni e, a dicembre, un miglioramento del clima di fiducia nel manifatturiero e nel commercio al dettaglio. L’impressione motivata dall’incremento atteso degli ordinativi nella manifattura è che ci troviamo nella coda della fase recessiva, bisogna capire quanto è lunga”. Uno strascico si nota sull’attività del manifatturiero italiano, contrattasi a dicembre al ritmo più marcato da diciannove mesi, dice l’indagine del centro ricerche Markit pubblicata ieri. Sul fronte dei consumi Alleva vede schiarite sebbene l’effetto degli 80 euro in busta paga arrivati da maggio sia “da vedere e per ora ancora marginale” – molto è andato alla ricostituzione dei risparmi – “ci aspettiamo nei prossimi mesi un aumento della spesa anche in un’Italia irriducibilmente risparmiatrice”.

 

[**Video_box_2**]La chiave per Alleva è “ricostruire la fiducia delle famiglie, delle imprese, dei giovani. Tutti devono investire nelle proprie capacità, in formazione e nel capitale umano per guadagnare sia in reddito sia in fatturato”. In questo senso le imprese sembrano tuttora abdicare al ruolo di motore economico: “La netta sensazione è che molte siano in una fase conservativa, nella quale non si investe né in nuovi prodotti né in personale qualificato ma si tende a sopravvivere. Si tratta di allargare lo spettro di quelle che investono a prescindere dalla facilitazione dei contratti a tempo indeterminato”. La disoccupazione è il lato dolente delle previsioni Istat – al 13,2 per cento, massimo storico. “In uno scenario di fragilità del mercato del lavoro – dice Alleva – possiamo affermare come un dato di fatto l’arresto della forte riduzione degli occupati vista negli ultimi anni. Ma per ora non possiamo quantificare la dimensione degli effetti delle ultime riforme governative”, ovvero la facilitazione dei contratti di apprendistato (decreto Poletti) e del Jobs Act appena approvato.

 

I governi passati sono stati eccessivamente ottimisti. Per il 2014 Letta stimava una crescita dell’1 per cento, Berlusconi e Monti confermarono un più 1,3. Il governo Renzi – più cauto – un più 0,8, disatteso: siamo a meno 0,4. Senza contare che avevamo avuto ampie speranze per un allentamento della recessione l’anno scorso, perché dovremmo fidarci delle considerazioni attuali? “I nostri governi sono stati in buona compagnia, la sovrastima delle dinamiche economiche è un errore comune a tante istituzioni internazionali. A ricasco, anche quelle italiane. E’ una fase turbolenta in cui un po’ tutti i previsori hanno ecceduto. L’esecutivo ha fatto stime caute, anche se è proteso a infondere fiducia agli operatori. Lo scenario globale condiziona la crescita”.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.