Farlo pure noi?

Ecco i neologismi 2014 che non meritano di vivere

Da “polar vortex” a “foodie”, l’America crea parole imbarazzanti da cancellare. Una lista delle parole da mettere al bando perché troppo usate, usate a sproposito, fraintese, semplicemente brutte o chiaramente inutili. Notare: non è un invito a sbarazzarsi dei termini obsoleti, quanto a non introdurre innovative idiozie.

New York. W. T. Rabe era un eccentrico direttore delle pubbliche relazioni della Lake Superior State University, nel Michigan, che ha regalato al mondo alcune trovate fondamentali e totalmente superflue, tipo la licenza per cacciare gli unicorni, il rogo primaverile del pupazzo di neve, la giornata mondiale del “sauntering”, la passeggiata emersoniana ad andatura lenta e contemplativa da opporre all’alienante velocità del jogging. Già negli anni Settanta aveva capito che la moda della corsa non era che l’estensione della frenesia lavorativa al tempo libero. Soprattutto, Rabe ha inventato l’annuale lista delle parole da mettere al bando perché troppo usate, usate a sproposito, fraintese, semplicemente brutte o chiaramente inutili. Notare: non è un invito a sbarazzarsi dei termini obsoleti, quanto a non introdurre innovative idiozie. La disputa sui neologismi dell’anno ufficialmente riconosciuti dai dizionari è un antico luogo comune da sfruttare nelle vacanze di Natale quando dagli argomenti di conversazione con un qualche briciolo di sostanza si passa alle liste di BuzzFeed, ma raramente si parla delle parole da eliminare dalla lingua, delle frasi che meriterebbero una multa, della propagazione di verbi inutili ed espressioni virali da social network della cui assenza il mondo avrebbe giovato. La lista delle censure non piace ai fomentatori della bulimia lessicale, variante della bulimia culturale, sempre che di cultura si possa parlare: una comunità linguistica che sdogana ufficialmente “rosicone”, “fraccata”, “shortini” e chiama un temporale “bomba d’acqua” non necessariamente mostra di avere fatto dei passi in avanti.

 

La tradizione della Lake Superior State University risale al 1976, quando l’obiettivo polemico era la logoratissima espressione “at this point in time”, ed è stata portata avanti anche dopo la morte di Rabe, nel 1992. Ora chiunque può suggerire la rimozione di parole ed espressioni logore, fornendo adeguata motivazione, e a dicembre una speciale commissione dell’università  seleziona i casi meritevoli di censura, pubblicando i motivi più convincenti forniti dagli utenti.

 

Nel trionfo globale delle “listicle” la lista negativa, quella che invita a togliere invece che aggiungere, la classifica contromano che pota i rami secchi con l’accetta è quanto mai utile. Da eliminare quest’anno è innanzitutto “polar vortex”, il vortice polare che è parente stretto della nostrana bomba d’acqua e di altri fenomeni atmosferici vecchi quanto il mondo per i quali si sente però la necessità di nomi più apocalittici. “Ma non si chiamava inverno fino a qualche anno fa?”, ha scritto un commentatore canadese.

 

Un altro si chiede che fine abbia fatto il più moderato “cold snap”, che qualche anno fa compariva in tutti i titoli di giornale con i primi freddi: “Non è abbastanza esplicito?”. E il vortice poi risucchia tutto: da quello polare è nato per gemmazione del luogo comune il “vortice politico” e chissà quali altri vortici ancora porterà il polo. Senza contare che il riscaldamento globale in teoria dovrebbe accompagnarsi a una generale diminuzione della drammaticità del linguaggio metereologico invernale (ci si rifà poi con l’ondata di calore e affini), invece più la terra si scalda più i poli tendono a produrre vortici, chissà perché. New York ha passato uno dei natali più caldi a memoria d’uomo, ma l’America non parlava che di vortici polari.

 

[**Video_box_2**]Siamo tutti foodie

Altro termine bandito è “bae”, curioso caso di sigla creata a posteriori. Bae è un modo zuccheroso di chiamare l’amato o l’amata nato attorno alla cultura rap, si usa come alternativa a “babe” ma visto che l’origine della parole è incerta l’hanno giustificata con una sigla, passione squisitamente anglofona: before anybody else. Un commentatore ha chiuso ogni discussione: “Il concetto ‘before anybody else’ si è sviluppato dopo che la parola è diventata di moda. Una ragione suficiente per vietarla”. Da espellere anche “foodie”, prodotto dell’ossessione globale per il cibo elevata a vezzo delle élite che considerano “Masterchef” alla stregua di uno champagne in bottiglia di plastica. “Amo una bella dormita, ma questo non fa di me uno ‘sleepie’. Vi do una notizia: a tutti piace il cibo”, scrive un utente fra quelli che vorrebbero eliminare, oltra a foodie, anche cra-cra (contrazione di crazy usata in senso positivo, niente di onomatopeico), friend-raising, takeaway, hack, swag e altri lemmi logorati dal tempo, dai social, dal pensiero unico, dai titolisti. Per spazzare via tutti questi dannosi detriti della lingua ci vorrebbe un vortice lessicologico.

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