Identikit dei greci che hanno rovinato la Grecia con le loro mani

Marco Valerio Lo Prete

I conti pubblici sono migliorati, ma i “profondi problemi strutturali” dell’economia greca sono ancora lì. Burocrati invincibili, Parlamento irresponsabile e media corrivi fecero invertire la rotta allo pseudo-riformatore Karamanlis (2004-2009). Da lì non ci si è ancora rialzati.

Oggi il Parlamento greco non trovando l'accordo per l'elezione del presidente ha condannato il paese alle elezioni anticipate. Riproponiamo un articolo di Marco Valerio Lo Prete uscito il 10 dicembre 2014 nel quale spiegava come mai la Grecia si è inguaiata da sola.

 

Roma. “La Grecia e i suoi politici dovrebbero smettere di dare la colpa agli altri, principalmente alla Germania. Dovrebbero invece lavorare sodo, traendo beneficio dall’attuale supervisione europea, in modo da modernizzare l’economia, ricostruire lo stato, battere la corruzione, aggredire l’evasione fiscale, punire le oligarchie illegali e applicare le riforme”. Così ha scritto il giovane analista greco, George Tzogopoulos, nell’introduzione a un suo libro pubblicato alla fine del 2013 in inglese e intitolato “The Greek Crisis in the Media” (Ashgate). Tzogopoulos è uno di quegli intellettuali greci che in questi anni, nel corso di quella che è probabilmente la crisi più grave che abbia colpito il paese nell’èra contemporanea, non ha utilizzato la sua visibilità internazionale per affibbiare colpe agli stranieri. Assieme a lui ci sono personalità come Takis S. Pappas, professore di Politica comparata all’Università della Macedonia, di cui l’anno scorso pubblicammo sul Foglio un saggio sulle origini del “bipartitismo populista” di Atene. O un professore come Herakles Polemarchakis che studiò il caso di Larissa, città con il numero più alto al mondo di Porsche Cayenne pro capite grazie a un uso spregiudicato dei fondi europei. Adesso a questo manipolo di intellettuali greci che fa autocritica prim’ancora di gettare la croce sulla Troika (composta da Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale), si è unito Pavlos Eleftheriadis, professore di Legge a Oxford, con un suo saggio pubblicato sull’ultimo numero di Foreign Affairs.

 

“Misrule of the few”, “Malgoverno dei pochi”, è il titolo. Ovvero: “Come gli oligarchi hanno rovinato la Grecia”. Lo studioso inizia riconoscendo l’aggiustamento dei conti pubblici del suo paese, con il rapporto deficit/pil sceso dal 16 per cento del 2009 al 2 per cento attuale, un avanzo primario che non si era mai visto prima, un debito pubblico ancora elevato ma che ha già subìto una ristrutturazione. Detto ciò, “i recenti passi in avanti nascondono profondi problemi strutturali. Per riordinare i suoi bilanci, Atene ha imposto tasse paralizzanti sulla sua classe media, ha fatto tagli lineari a stipendi pubblici, pensioni e copertura sanitaria. Mentre i normali cittadini hanno sofferto sotto il peso dell’austerity, il governo è immobile sulle riforme significative: l’economia greca rimane una delle meno aperte in Europa e di conseguenza una delle meno competitive. E’ anche una di quelle caratterizzate da maggiore diseguaglianza. La Grecia non è riuscita a risolvere questi problemi perché le élite del paese hanno interessi consolidati nel mantenere lo status quo”.

 

La crisi è esplosa nel 2009, dopo che i conti pubblici erano andati (segretamente) fuori controllo durante i cinque anni di governo del conservatore Kostas Karamanlis. Anni in cui “furono assunti 150 mila dipendenti pubblici che così superarono il milione di persone, fino a costituire il 21 per cento della forza lavoro – scrive sempre Eleftheriadis sulla rivista americana Foreign Affairs – Nello stesso periodo la spesa sanitaria salì dal 5 al 7 per cento del pil; quella pensionistica dall’11,8 al 13 per cento del pil”. Il debito pubblico aumentò dal 97 al 130 per cento. Non male per un primo ministro che si era candidato per rinnovare e snellire lo stato. Tre sarebbero stati i potentissimi freni a questo progetto: innanzitutto i dipendenti pubblici stessi che, dopo la fine del regime autoritario, furono per scelta “lottizzati” dai partiti politici, in teoria per annacquare le loro tendenze conservatrici. Nel 1994 fu approvato un sistema di accesso meritocratico alla Pa, sistema che i governi successivi smontarono pezzo dopo pezzo; lo studioso di Oxford conta 43 emendamenti a quel criterio di selezione. Il secondo ostacolo ai progetti riformisti lo pose il Parlamento, frutto di un sistema elettorale che rafforza interessi particolari e localistici invece che contatto con l’elettore e disciplina di partito. Terzo e ultimo ostacolo: i media privati, anch’essi in mano a pochi oligopolisti (del settore navale o dell’energia o delle banche) disposti anche a perdere soldi pur di creare un legame di do ut des con politici e burocrati.

 

[**Video_box_2**]"Due sono i gruppi d’interesse altamente organizzati che negli ultimi trent’anni hanno guadagnato di più dal sistema legale greco”: i professionisti (avvocati, medici, ingegneri) che si muovono in un settore dei servizi ultraregolamentato; gli impiegati pubblici, in particolare quelli delle aziende di stato. “Una minoranza” di nemmeno un milione di persone che – votando in collegi decisivi, utilizzando agganci politici bipartisan per tutelare evasione fiscale e privilegi vari – ha continuato ad attrarre su di sé risorse pubbliche in abbondanza. Il tutto mentre “oltre il 90 per cento dei disoccupati greci” non riceve alcuna assistenza dal governo e il paese è “in fondo alle classifiche europee di mobilità sociale”. Il messaggio finale di Eleftheriadis? Se il governo e la Troika vogliono cambiare davvero le cose, da qui dovranno (ri)cominciare.

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