Imran Khan, leader del partito Movimento per la Giustizia (foto AP)

Prendi Imran Khan e vedi l'imbarazzo di chi dialoga coi talebani

Daniele Raineri

La strage di martedì in una scuola di Peshawar ha interrotto un dramma politico in corso in Pakistan.

Roma. La strage di martedì in una scuola di Peshawar ha interrotto un dramma politico in corso in Pakistan. Una delle figure in assolute più famose del paese, il belloccio Imran Khan, stava guidando una serie di scioperi generali per paralizzare le città del paese – sono proteste chiamate dhama, o “shutdown”.

 

Imran Khan guida il partito Movimento per la Giustizia, Tehreek-e-Insaf, ed è convinto di essere stato defraudato della vittoria nel maggio 2013 (era arrivato terzo) dal primo ministro attuale, Nawaz Sharif. I grandi scioperi di protesta sono cominciati il 14 agosto, il giorno della festa nazionale dell’indipendenza, sono proseguiti per cinque mesi con adunate spettacolari e qualche sommossa e dovevano culminare oggi in una grande giornata di manifestazioni popolari in tutto il paese per costringere Sharif alle dimissioni. L’ispirazione era il movimento di piazza Tahrir al Cairo che nel febbraio 2011 depose il presidente egiziano Hosni Mubarak.

 

Imran è favorito dalla sua fama leggendaria di capitano della squadra nazionale di cricket, lo sport più popolare del paese, che vinse per la prima e unica volta i Mondiali nel 1992 – lui si era già ritirato ufficialmente, tornò a 39 anni per vincere. Il suo partito politico ha un programma anticorruzione e populista che esercita un fascino particolare soprattutto sulla fascia più giovane degli elettori, che in Pakistan è davvero ampia.

 

Due giorni fa una squadra suicida di sei talebani pachistani agli ordini di un comandante chiamato Omar Mansoor – o anche Omar Khilafa – ha attaccato una scuola e ha ucciso 145 persone, di cui almeno 130 studenti. La strage trova Imran Khan molto esposto, perché lui critica da sempre una politica nazionale troppo asservita a Washington e propone di cercare un compromesso con i talebani, e ora è considerato il politico più vicino a loro – se si esclude qualche frangia ultraislamista ancora autorizzata a stare in politica. Da maggio 2013 è diventato governatore della provincia del Khyber Pakhtunkhwa, quella dove è avvenuto l’assalto alla scuola. A marzo Khan ha detto in conferenza stampa che i talebani non hanno mai voluto imporre la sharia con i fucili, ma sono dei combattenti contro lo strapotere americano. Ha anche proposto l’apertura di un ufficio di collegamento dei talebani, per favorire la riconciliazione, e proprio questa settimana aveva promesso che in caso di elezione non avrebbe mai permesso all’esercito nazionale di entrare nelle aree tribali. L’accordo di pace, e non la soluzione militare, è uno dei pilastri della sua retorica antigovernativa.

 

[**Video_box_2**]Questa promessa di tenere fuori l’esercito dalle aree tribali controllate dai talebani è contraria all’operazione in corso, Zarb-e-Arb, che è stata citata dai guerriglieri come giustificazione per il massacro nella scuola. Si capisce l’imbarazzo di Khan, che è rimasto incastrato in un paradosso d’immagine: è il politico con l’aria più giovane e cosmopolita – grazie alla casa a Londra e all’ex moglie Jemima, famosa nel giro della mondanità inglese – e anche quello più compromesso con i talebani. Due giorni fa la sua condanna della strage è arrivata per ultima, e senza una citazione esplicita dei responsabili.

 

Ieri però Imran Khan ha provato il colpo d’ala, ha annunciato la sospensione dei sit-in governativi ed è andato a incontrare il premier Sharif, fino a due giorni fa emblema della corruzione politica e ladro della sua vittoria. Khan ha incassato molte lodi per essere passato sopra alle divisioni politiche nel momento del lutto e del pericolo, Sharif ha fatto capire che la tregua durata qualche mese a primavera con i talebani non tornerà più. “Non esistono talebani buoni e talebani cattivi”, ha detto. L’ex campione per ora incassa.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)