Tu uccidi i miei figli, io uccido i tuoi. Meglio i più alti, perché sono complici

Paola Peduzzi

"Vogliamo che sentiate dolore”, hanno detto i talebani: voi colpite le nostre famiglie, noi colpiamo le vostre, i vostri figli, nella vostra scuola. “Questi sono i bambini dell’esercito pachistano sostenuto dagli Stati Uniti – ha detto un portavoce dei talebani – e dovrebbero fermare i loro genitori che bombardano le nostre famiglie e i nostri bambini”.

Milano. C’era una piccola festa per le classi dei ragazzini di 14-15 anni, ieri, alla scuola Army Public School and Degree College di Peshawar, un momento di divertimento, qualcosa da mangiare, i banchi schiacciati contro le pareti per fare spazio, mentre al piano di sopra “i grandi” stavano facendo gli esami, concentrati nel loro silenzio agitato. In palestra si erano riuniti altri studenti, dovevano seguire il corso di pronto soccorso, c’era un colonnello che aveva appena iniziato a spiegare come ci si comporta di fronte a un’emergenza. Quando si sono sentiti i primi spari, nell’atrio, le maestre hanno iniziato a ripetere: chiudete le porte, chiudete le porte, seguendo la procedura anti attacco che i maestri di Peshawar imparano assieme ai metodi per insegnare le moltiplicazioni. “Le abbiamo chiuse le porte – ha raccontato un ragazzino ferito – ma all’improvviso sono entrati, ci siamo nascosti sotto ai banchi, sparavano, alle gambe e alla testa, e poi hanno dato fuoco alla maestra. Le hanno dato fuoco. Noi non ci muovevamo, perché a qualsiasi movimento loro sparavano”.

 

Sono morti così i ragazzi ieri della scuola di Peshawar, soprattutto quelli “nell’età della pubertà”. Il mandato dei talebani era quello, anche se poi nella furia della strage, ammazziamone più che possiamo, sono caduti, senza differenza, in cento. Non c’entra la pietà per i piccoli, qui non esiste la pietà, c’entra un discrimine arbitrario che stabilisce che nella pubertà sei già più uomo, sei già più consapevole e responsabile, anche se la barba non si vede e i tuoi occhi sono identici a quelli del fratellino lì di fianco, composto fuori dalla scuola della strage, con gli occhi bassi e la sua divisa – soltanto il maglione verde con i bordi gialli, il blazer e la cravatta arrivano con la pubertà – che scruta l’orrore, il sangue, i cadaveri, e sente già su di sé il peso della sopravvivenza. Tu morto, io vivo. Perché?

 

“Perché vogliamo che sentiate dolore”, come hanno detto i talebani: voi colpite le nostre famiglie, noi colpiamo le vostre, i vostri figli, nella vostra scuola. “Questi sono i bambini dell’esercito pachistano sostenuto dagli Stati Uniti – ha detto un portavoce dei talebani – e dovrebbero fermare i loro genitori che bombardano le nostre famiglie e i nostri bambini”. Sono responsabili, quindi, questi ragazzini i cui nomi compaiono nelle liste affisse fuori dall’ospedale, con l’età scritta di fianco, tanti quindicenni, sedicenni, diciassettenni, soprattutto maschi, sono responsabili, anche loro, perché non si sono ribellati ai padri e alle madri – quei padri e quelle madri che sono corsi fuori da scuola e poi all’ospedale, tirando su lenzuola dai cadaveri per guardare volti tumefatti dagli spari e dalla morte, sperando di non incontrare mai un viso conosciuto.

 

Non c’è orrore più grande della carneficina di bambini. Li avevamo visti, atterriti, i bambini in fuga, i bambini uccisi, i bambini insanguinati della scuola di Beslan, nel 2004 nell’Ossezia del nord, tre giorni di assedio dei terroristi, già parecchi morti da contare, tre giorni di minacce, di negoziati feroci, ve li uccidiamo tutti, poi il blitz delle forze russe: 186 bambini morti. Perché proprio loro, perché proprio mentre sono a scuola, mentre stanno provando a darsi un’alternativa per il futuro, studiando, facendo l’esame, e non c’è nemmeno la gamba di una mamma da abbracciare, per proteggersi, per nascondersi? Nel video che Osama bin Laden girò dopo l’attacco dell’11 settembre a New York, disse: “Quando vidi la distruzione delle torri in Libano (nel 1982, ndr), ho capito che vi avrei punito nella stessa ingiusta maniera: distruggendo le torri dell’America, così che l’America potesse sentire quel che sentiamo noi e la smettesse di uccidere i nostri bambini e le nostre mogli”. Voi ci colpite, noi vi colpiamo, classe per classe, come è avvenuto ieri, sparando a quelli più alti, perché hanno responsabilità maggiori, perché condividono le vostre azioni, anche se sono ragazzini e hanno il diritto di non avere ancora un’idea, la presunzione d’innocenza, in questo caso, è presunzione di purezza, sta scritta sulla carta d’identità.

 

I vostri bambini, i nostri bambini. La propaganda jihadista si nutre di questa retorica, a ogni figlio mio ucciso ne uccido uno dei tuoi, così i ragazzini diventano sacrificabili, martiri inconsapevoli che nella mente dei loro carnefici, invece, desiderano la morte.

 

[**Video_box_2**]Nella crisi siriana, madre di tutte le tragedie moderne, abbiamo visto bambini salivare veleno dalla bocca, colpiti dalle armi chimiche del regime di Assad, simbolo potente di una guerra che è andata oltre i confini delle armi convenzionali. Quei piccoli volti contorti dal sarin inalato, quando tutt’attorno sembrava ci fosse un effetto speciale, una nuvola blu, che uccide, ma i bambini non lo sanno – quei piccoli volti sono entrati nei video dello Stato islamico e dei gruppi islamisti, assieme a decapitazioni di massa di adulti, giustificazione massima di ogni azione: avete ucciso i nostri figli, noi uccidiamo i vostri. Ma anche il termine “giustificazione” è carico di orrore: non c’è alcuna giustificazione a una strage in una scuola. I bambini non si ribellano, i bambini non si difendono, i bambini non sanno nemmeno perché stai entrando sparando e dai fuoco alla maestra, i bambini lì possono soltanto morire.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi