Matteo Renzi e Shinzo Abe (foto LaPresse)

Abenomics must go on

Elezioni, debito e Iva funesta. Una lezione giapponese per Renzi

Marco Valerio Lo Prete

Matteo Renzi ripete di averlo detto “in tutte le salse”: l’attuale governo durerà fino al 2018. Tuttavia lui stesso, domenica scorsa, ha evocato “il collega” Shinzo Abe, primo ministro giapponese e leader del Partito liberal-democratico, che ha preferito andare al voto da primo ministro in carica per rafforzare la sua leadership.

Roma. Matteo Renzi ripete di averlo detto “in tutte le salse”: l’attuale governo durerà fino al 2018. Tuttavia lui stesso, domenica scorsa, ha evocato “il collega” Shinzo Abe, primo ministro giapponese e leader del Partito liberal-democratico, che ha preferito andare al voto da primo ministro in carica per rafforzare la sua leadership. Evocazione tesa ufficialmente a scongiurare uno scenario simile: “Il collega Abe è andato a votare nel giro di due mesi – ha detto domenica il presidente del Consiglio italiano all’Assemblea nazionale del Pd – Perché al primo intoppo che ha avuto è andato a votare. Ha senso? Rispondo a Stefano Fassina: secondo me no”.

 

Però Renzi ad Abe ci pensa eccome. E non è il solo, visto che la parabola dell’energico primo ministro giapponese racchiude lezioni e suggestioni tutt’altro che aliene alla situazione italiana. Abe nel fine settimana si è aggiudicato 326 seggi della Camera bassa, oltre due terzi dei 475 a disposizione, commentando così il risultato: “Abbiamo sentito la voce del popolo, e ha detto: ‘Avanti con l’Abenomics’”. Le elezioni erano state convocate a metà dicembre proprio come un “referendum” sulla politica economica del governo. Ora il referendum è vinto. Abe, almeno stando agli annunci, insisterà adesso con più radicalità sulle “tre frecce” con cui dal 2012 tenta di rianimare l’economia giapponese: politica monetaria estremamente espansiva, stimolo fiscale a suon di investimenti pubblici, riforme strutturali per aumentare la competitività del paese. La terza e ultima freccia, per riconoscimento unanime, è stata scoccata troppo timidamente. Il voto dovrebbe servire ad Abe per ritentare il tiro.

 

Certo, Renzi al momento fa capire che un governo di coalizione è sufficiente per far avanzare le riforme, non serve un monocolore Pd in stile giapponese; dice anche che una minoranza di “frenatori” interni al Pd è gestibile. Un atteggiamento fiducioso, simile a quello che Abe mostrava appena un anno fa. Poi però in Giappone sono successe alcune cose che non è affatto impensabile accadano in Italia nei prossimi 365 giorni. A voler fare i futurologi, ecco le similitudini.

 

Il gradimento logora chi non ce l’ha. Le riforme radicali, per essere approvate, necessitano di “capitale politico” in quantità sufficiente. Abe in Giappone ha deciso che, a metà del suo mandato, c’era bisogno di rafforzare tale dotazione di capitale politico. Come? Con un passaggio elettorale. Complice un’opposizione in disgrazia, Abe si è permesso il lusso di andare al voto nel momento di gradimento più basso per il suo governo, 42 per cento rispetto al 70 per cento della scorsa primavera; ora ha una maggioranza solidissima e quattro anni di governo davanti a sé. Il consenso di Renzi fra gli italiani sta seguendo un andamento simile, se si guarda all’ultimo sondaggio Ixè: gradimento oltre il 65 per cento al momento dell’insediamento a Palazzo Chigi, sceso oggi al 43 per cento. E anche da noi l’opposizione non è in forma smagliante (eufemismo).

 

[**Video_box_2**]La recessione inattesa. Abe promette di insistere con le ricette della sua Abenomics. La decisione del cosiddetto “referendum” sulla politica economica è stata presa dopo che il Giappone, inaspettatamente secondo molti, è ricaduto in recessione tecnica nel terzo trimestre dell’anno. Oggi l’Italia è ancora in recessione e il governo Renzi non se l’aspettava. Per quest’anno, fino alla primavera, l’esecutivo si attendeva un tasso di crescita vicino all’uno per cento; oggi prevede un funereo meno 0,3 per cento per il 2014.

 

Debito pubblico vs. Iva funesta. Il Giappone ha il più grande debito pubblico del pianeta, pari a oltre il 240 per cento del pil. E’ nel tentativo di contenerlo che Abe, dopo un primo aumento della tassa dei consumi nell’aprile scorso (dal 5 all’8 per cento), aveva promesso un altro ritocco all’insù nel 2015, fino al 10 per cento. L’inasprimento fiscale dello scorso aprile ha frenato però la crescita; così il leader nipponico ha deciso di andare al voto promettendo di annullare l’inasprimento fiscale previsto nel 2015 e di attuarlo solo nel 2017. La promessa è piaciuta agli elettori. Anche in Italia il debito pubblico continua ad aumentare: è arrivato a 2.157 miliardi di euro secondo Banca d’Italia, oltre il 130 per cento del pil. Per far quadrare i conti pubblici, nella legge di stabilità del governo Renzi c’è una “clausola di salvaguardia”: dal 2016 aumenteranno due aliquote della nostra tassa sui consumi, l’Iva, dal 10 al 13 per cento e dal 22 al 25,5; a meno che non si trovino nuove risorse grazie alla spending review. O non sarebbe forse più facile convocare elezioni l’anno prossimo, in stile Abe, poco prima che scatti l’impopolare clausola di salvaguardia? Se soltanto ci fosse una legge elettorale à la giapponese.

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