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Caricature. Weber e il dibattito sull'economia europea

Ernesto Felli

La zuffa sui decimali dimostra l’insostenibile impalcatura delle regole fiscali europee. Il parametro del 3 per cento nel rapporto deficit/pil è un indicatore fuorviante dell’indirizzo della politica fiscale Che fare?

Una caricatura. Questo giudizio sul punto a cui è giunta la discussione pubblica in Europa non proviene da un fondamentalista anti euro o da uno scettico d’oltremanica. E’ infatti il pensiero del presidente del Ppe nell’Europarlamento, il cristiano-sociale bavarese Manfred Weber. Evitiamo discorsi, dice Weber, “che rendano le posizioni degli uni e degli altri caricaturali…”.

 

Una caricatura. Una caricatura di un discorso serio è quella della coppia Merkel-Juncker, dispensatrice di moniti ai soliti reprobi, e inevitabilmente lo diventano le risposte dei destinatari di questi avvertimenti. Juncker ammonisce Francia e Italia che una violazione del Patto di stabilità (e crescita) avrà “conseguenze spiacevoli”. Ora, l’aspetto caricaturale di questo richiamo dal tono minaccioso non è tanto che Francia e Italia rappresentano circa il 40 per cento del pil dell’Euroarea, e sono alle prese con crisi non solo di tipo strutturale. E neanche che si sappia come nel passato siano andate a finire minacce simili. La Francia ha superato il 3 per cento nel rapporto deficit/pil dal 2008 al 2014, ma lo ha (molto) gradualmente ridotto sino al 2013, e se anche il prossimo anno mancherà l’obiettivo tutti se ne faranno una ragione, a cominciare dalla Commissione europea. E, sì, l’Italia, che dal punto di vista del deficit è messa molto meglio della Francia perché sotto il 3 per cento sin dal 2012, potrebbe sforare di qualche decimale il fatidico tetto nel 2015, ma non è detto e comunque si vedrà a fine anno.

 

Ora, si capisce bene, al cospetto di queste zuffe sui decimali, che è l’intera impalcatura delle regole fiscali europee a essere diventata una caricatura. Siccome esiste una cosa chiamata ciclo economico, e alle volte si verifica quella spiacevole situazione che si chiama recessione, la situazione del bilancio pubblico dovrebbe essere valutata alla luce di questi fattori. Cioè in termini strutturali, che significa depurare il calcolo del deficit dagli effetti degli alti e bassi dell’attività economica. Il parametro del 3 per cento nel rapporto deficit/pil del Patto di stabilità (e crescita) non lo fa. In questo senso, è un indicatore fuorviante dell’indirizzo della politica fiscale, giacché, in certe condizioni, un aumento del disavanzo potrebbe indicare erroneamente che la politica fiscale ha assunto un orientamento espansivo, mentre in realtà ne segue uno restrittivo. Ed è proprio per questa ragione che, attraverso le revisioni del Patto di stabilità e l’introduzione del Fiscal compact, sono stati introdotti parametri strutturali, come appunto il saldo di bilancio corretto per il ciclo (e al netto delle misure una tantum), nel disegno delle politiche di consolidamento fiscale dell’Unione europea.

 

Qui però sorgono due problemi che sono alla base di quella trasformazione in caricatura delle regole fiscali europee di cui dicevamo.

 

Il primo problema è che ora nell’impalcatura delle regole fiscali europee coesistono parametri nominali, come il 3 per cento del rapporto deficit/pil, e parametri corretti per il ciclo, come il limite dello 0,5 per cento nel rapporto deficit strutturale/pil. L’incoerenza è inevitabile come la confusione.

 

In linea di principio – il principio che abbiamo sostenuto in questo Diario – sarebbe preferibile definire le regole fiscali unicamente in termini strutturali, per evitare che le politiche di bilancio diventino procicliche e, ad esempio, anziché contrastare una recessione l’acutizzino, come potrebbe essere successo negli ultimi anni.

 

[**Video_box_2**]Qui però sorge il secondo problema. Il calcolo del saldo strutturale del bilancio pubblico si basa non sul pil effettivo ma su quello potenziale, cioè sul livello “normale” che si raggiungerebbe con le risorse, la tecnologia e le istituzioni esistenti se non ci fossero questi alti e bassi dell’attività economica. Ora a parte l’ambiguità del concetto (che vuol dire “livello normale di attività”?), che può essere facilmente superata attraverso definizioni più “operative”, la questione è che il prodotto potenziale non può essere misurato nello stesso modo del pil effettivo. Deve essere stimato perché non è osservabile. Attenzione, questo non significa che non si possano ottenere stime accurate del prodotto potenziale. Dopo tutto anche l’atomo non è osservabile, eppure Einstein dimostrò, in uno dei famosi articoli dell’Annus mirabilis (1905), non solo la sua esistenza (fino ad allora ancora controversa), ma anche che poteva essere misurato con precisione. No, la questione è che, per quanto accurate possano essere queste stime, un margine di incertezza persiste. La Commissione europea, il Fmi e l’Ocse usano la stessa metodologia di stima, ma il risultato non è univoco. Secondo le stime dell’Ocse, l’Italia avrebbe raggiunto il pareggio strutturale di bilancio sin dal 2013 e quest’anno sarebbe in leggero surplus. Mentre per la Commissione e il Fmi vi sarebbe un deficit strutturale nel 2013 che peggiorerebbe nel 2014. Quindi sarebbe consigliabile considerare non un singolo valore ma un intervallo ristretto di valori, soprattutto quando in ballo ci sono regole fiscali e relative procedure di sorveglianza.

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