Il presidente della Bce, Mario Draghi (foto LaPresse)

Pressing su Francoforte

Ecco tutte le ragioni che spingono Draghi a spianare il bazooka

David Carretta

Le banche non bevono la liquidità della Bce, il piano Juncker è debole, non restano che gli stimoli monetari.

Bruxelles. Dopo il mezzo flop della seconda asta della Targeted longer-term refinancing operations (Tltro), con cui la Banca centrale europea cerca disperatamente di iniettare liquidità nell’economia dell’Eurozona, non resta che Mario Draghi. O meglio, non resta che il Quantitative easing (Qe) e l’acquisto di titoli di debito sovrano, che metà del Consiglio dei governatori della Bce è pronta ad annunciare il 22 gennaio, ma che l’altra metà vuole evitare. Le banche europee ieri hanno preso a prestito 129,8 miliardi del programma Tltro della Bce, al di sopra degli 82,6 miliardi della prima asta di settembre, ma ben al di sotto di quanto sperato. “E’ conforme alle attese della Bce e alle stime dei mercati”, si è affrettato a dire il membro dell’esecutivo Bce, Benoît Coeuré. Salvo farsi smentire da gran parte degli analisti, secondo i quali è impossibile con gli strumenti attuali portare il bilancio della Bce ai livelli del 2012 – un aumento di un trilione di euro – come aveva più o meno esplicitamente detto di voler fare Draghi. “L’esito deludente dell’asta avvicina il Qe”, dice Nick Kounis, analista di Abn Amro. “E’ andata male”, dice al Foglio Silvia Merler, ricercatrice del think tank Bruegel: “Le previsioni dell’ultima settimana si erano orientate tra 130 e 170 miliardi. Siamo nella parte bassa”. Peggio: le nuove misure straordinarie della Bce – tra Tltro, acquisti di titoli e obbligazioni garantite – non “compensano” i 270 miliardi della precedente operazione di liquidità (Ltro) che le banche hanno rimborsato a inizio anno: il saldo è negativo e la Bce ha un problema di “capitale di reputazione”, dice Merler. Draghi si è impegnato a compiere a inizio 2015 una valutazione dei risultati delle operazioni straordinarie lanciate finora, lasciando intendere che una decisione sul Qe potrebbe slittare a marzo. Ma gli analisti di Jp Morgan azzardano una cifra e una data: un programma di acquisto di titoli pubblici da 500 milioni sarà annunciato il 22 gennaio. Secondo Merler, “diventa inevitabile” alla luce dei dati sull’inflazione tedesca e francese e della caduta del prezzo del petrolio. Anche i dubbi legati al piano di investimenti da 315 miliardi proposto dalla Commissione europea incitano la Bce ad agire.

 

La scorsa settimana, Draghi ha lodato il cosiddetto piano studiato da Jean-Claude Juncker perché è “l’unica iniziativa” che c’è. Ma lo scetticismo sta contagiando i governi, che nel vertice europeo della prossima settimana dovrebbero mettere il loro sigillo sul piano del commissario Juncker. Il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, mercoledì a Bruxelles aveva detto ad alta voce quel che molti suoi colleghi pensano. Sul piano Juncker, l’Italia vuole “chiarezza” sui tempi, sul giusto ritorno (quanti investimenti riceveranno i singoli paesi) e sul trattamento degli investimenti pubblici nazionali nei calcoli per il Patto di stabilità (la Commissione esclude solo i contributi al Fondo europeo per gli investimenti strategici). L’Italia è in difficoltà perché alcune bandiere del governo Renzi – come la “buona scuola” e gli interventi per il dissesto idrogeologico – non possono essere finanziate dal Fondo Juncker. “Sono puramente pubblici. Non sono eleggibili”, dice al Foglio una fonte della Banca europea degli investimenti che gestirà il Fondo. L’entourage di Juncker è “ottimista”, ma ammette che le conclusioni del vertice potrebbero contenere “una frase sul giusto ritorno” per ripartire geograficamente gli investimenti. Pragmatico al limite dell’opportunismo, perseguitato dallo scandalo LuxLeaks, Juncker ha rinviato le vere decisioni sulla zona euro. Sui giornali tedeschi minaccia “conseguenze spiacevoli” per Francia e Italia. Su quelli francesi spiega che vuole “una lettura più politica” del Patto di stabilità. Nel frattempo fa slittare a febbraio, o forse oltre, quel che servirebbe a Draghi per il Qe: un rapporto per condividere sovranità sulle riforme e la politica economica. “L’idea di uno Structural compact sta molto a cuore” a Draghi, dice Merler. Ma “la Bce ha un mandato (riportare l’inflazione vicino al 2 per cento, ndr) che non sta rispettando da troppo tempo”. Draghi, dunque, potrebbe andare avanti senza copertura politica dei leader europei e senza unanimità dentro la Bce. “Dal punto di vista politico resta molto complicato”, avverte Merler. L’intransigente presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, non sembra più isolato come un tempo. Dentro il board può contare su Sabine Lautenschlaeger e Yves Mersch. L’interrogativo centrale, secondo Merler, è se Draghi “sarà in grado di costruire una maggioranza forte”.

 

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