Uomini dell'esercito yemenita prendono parte a un'offensiva presso Shabwa delllo scorso 7 maggio

Anche il secondo raid dei commando americani in Yemen fallisce

Daniele Raineri

I servizi segreti sapevano dov’era l’ostaggio americano morto oggi in Yemen, ma il via libera è arrivato troppo tardi.

Aggiornamento: Luke Somers, il giornalista americano sequestrato nel settembre 2013 da al Qaeda in Yemen, è stato ucciso in un tentativo di salvataggio. Lo dichiara la sorella dell'uomo, Lucy Somers. Parlando ad Associated Press, ha spiegato di aver appreso della morte del fratello 33enne da agenti dell'Fbi. Sinora nessun commento in proposito è arrivato da Washington. La donna ha poi chiesto che "tutta la famiglia di Luke ora sia lasciata in pace per piangere la sua morte". 

Questo articolo è stato scritto ieri, venerdì 5 dicembre, ed è stato pubblicato nel Foglio di oggi, 6 dicembre.

 

 

Roma. Due giorni fa fonti non meglio specificate hanno detto al Wall Street Journal che le informazioni su dov’era tenuto un ostaggio americano in Yemen erano arrivate una settimana prima di un raid delle forze speciali. Quando i Navy Seal americani sono arrivati la notte del 25 novembre alla caverna nell’est del paese dove pensavano fosse tenuto prigioniero Luke Somers, un giornalista americano di 33 anni, lui non c’era più, era già stato spostato altrove. I militari americani hanno ucciso le sette guardie di al Qaida nella penisola arabica, hanno liberato otto ostaggi – sette yemeniti e un diplomatico saudita rapito due anni fa – e sono ripartiti senza la persona che cercavano.

 

E’ il secondo fallimento che arriva negli ultimi sei mesi e ora dal Wall Street Journal trapela che c’è uno scontro interno all’Amministrazione Obama – secondo l’accusa che sale dal basso verso l’alto i vertici sono troppo lenti a dare il via libera alle operazioni e così le rare occasioni sfumano, quando invece i servizi avevano informazioni giuste. La notte del 3 luglio gli americani tentarono di liberare alcuni reporter e operatori umanitari occidentali, tenuti in ostaggio dallo Stato islamico, con un assalto complicato in una raffineria di Raqqa, nel nord-est della Siria. Quando le squadre sbarcarono dagli elicotteri, però, non trovarono nessuno perché i prigionieri erano stati spostati “non più di due giorni prima”. Cinque di loro sono poi stati assassinati davanti a una telecamera a partire da metà agosto, ripresi in una serie di video orribili pubblicati su internet. Alcune fonti dicono al Wall Street Journal che anche nel caso di Raqqa il ritardo politico nel prendere la decisione finale ha causato il fallimento dell’operazione.

 

Mercoledì scorso l’americano rapito in Yemen è apparso in un video di tre minuti. Al Qaida minaccia di ucciderlo oggi se l’America non accetta alcune condizioni – non specificate, che riguardano la liberazione di prigionieri di al Qaida in Yemen e gli attacchi dei droni americani.

 

C’è stato qualcosa di strano fin da subito nelle notizie su quest’ultimo raid, compiuto da soldati del Jsoc (il comando delle operazioni speciali del Pentagono) assieme a militari yemeniti. Il giorno dopo il governo di Sana’a annunciò che era stato liberato anche un americano, ma il Pentagono smentì seccamente. Con il senno di poi, si può dire che gli yemeniti credevano che tutto fosse andato alla perfezione e non sapevano che tra gli ostaggi liberati mancava Somers. Il giornalista, che lavorava per lo Yemen Times, un giornale in lingua inglese pubblicato nella capitale, era stato rapito un anno fa.

 

Altre fonti dicono che il fallimento non è dovuto alla lentezza decisionale, ma all’incompletezza delle informazioni d’intelligence, che fin dall’inizio erano considerate “incerte”. Poche ore prima che il Jsoc presentasse al Pentagono il suo piano d’intervento per l’approvazione, gli uomini di al Qaida avevano spostato almeno due ostaggi, ma gli analisti dell’intelligence credevano che Somers non fosse tra quelli e che fosse rimasto nella caverna. Oggi, gli analisti si chiedono addirittura se c’è mai stato.

 

[**Video_box_2**]Il portavoce del Pentagono, l’ammiraglio John Kirby, contesta che il fallimento sia dovuto alla troppa lentezza nell’autorizzazione. “Questa cosa è passata dalla teoria all’esecuzione a ritmo serrato, tutti i comandanti nella catena di comando hanno subito riconosciuto i pericoli e i vantaggi dell’operazione”.

 

I militari dicono di avere ricevuto le informazioni il 21 novembre e di avere detto chiaramente di essere pronti a entrare in azione per la notte seguente. Invece la decisione finale è arrivata il 24, dopo essere passata laboriosamente di livello in livello, fino a raggiungere il presidente, Barack Obama, dopo la mattina del 23 – mentre era in viaggio da Las Vegas a Washington. Obama firmò l’autorizzazione.

 

Dice una fonte al Wall Street Journal: “In casi come questi il via libera dovrebbe essere questione di ore, non di giorni”.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)