Maurizio Sarri è nato a Napoli il 10 gennaio 1959. La prima panchina tra i professionisti arriva nel 2003 in C1, con la Sangiovannese. Dal 25 giugno 2012 è allenatore dell’Empoli

Mister Sarri, tuta la vita davanti

Beppe Di Corrado

Teorema dell'allenatore dell'Empoli. Chi è il fenomeno di provincia che ha imposto in Toscana una nuova scienza calcistica. La leggenda dei 33 schemi sui calci piazzati e il manifesto controcorrente di un nuovo allenatore spiegato in 39 pagine.

Maurizio Sarri è quello che ha sempre la tuta. Mai come Allegri, Garcia, Benitez, Montella, Mancini, Inzaghi, Donadoni, Di Francesco, Gasperini, Pioli, Stramaccioni, Mihajlovic. Mai. Loro in giacca, lui no. La tuta, come abito da lavoro e da telecamera, perché non c’è differenza. Personaggio nuovo nonostante i 55 anni. Perché per sua fortuna non è stato abituato o costretto a documentarsi con la serie A, che non aveva mai visto prima dell’inizio di questo campionato. Anche chi la B l’ha frequentata suo malgrado, invece, non sapeva che Sarri fosse nato a Napoli. Perché quando parla ha l’accento toscano, di una Toscana non propriamente fiorentina, più dura, meno nobile: Figline Valdarno è il luogo della lingua che gli ha dato l’accento. La nascita napoletana è un dettaglio, un caso che lo porta a specificare qualcosa che a sentirlo pare comunque ovvia: “Non mi sento toscano, lo sono. Siamo schietti, polemici, ma veri”. Figline è l’infanzia, Arezzo è l’inizio del calcio vero, Empoli è invece il posto che l’ha portato dove non pensava sarebbe più arrivato: nell’éra dei calciatori che diventano allenatori senza passare per la provincia, uno come Sarri sembrava superato. Ce ne sono un sacco di allenatori così: si fermano fino alla B e non vengono su. Scarsi? No. Diversi. Per genere e attitudine. Ecco, Sarri pareva uno di quelli accompagnati da quelle frasi così: un maestro di calcio, ma “allenatore di categoria”. Categoria, sì. Provate a fare una rassegna stampa degli ultimi trent’anni e vedrete quante volte troverete una definizione così: si usa per i giocatori e si usa per gli allenatori.

 

La promozione dell’Empoli dell’anno scorso ha cancellato la categoria, non la tuta. Sarri la indossa con una polo sotto, come una divisa. Perché è una divisa. Di sé dice di essere uomo di campo e ciò spiega perfettamente perché della giacca e della cravatta non è che non gli importi. Non gli servono. Poi c’è quella storia del bancario, cioè l’unica cosa che torna sempre quando si parla di Sarri: per anni ha fatto l’allenatore part time, perché la mattina lavorava in banca. Anche su questo la rassegna stampa è indicativa, perché ogni titolo che gli sia stato dedicato ha un qualche riferimento alle banche e al credito. E’ strano, in fondo. Lo sa Sarri che non s’è mai lamentato che la storia si ripeta. Non accadrà oggi che la ripetiamo. Si occupava per il Montepaschi di transazioni fra grandi istituti, sono passati quasi 15 anni da quando ha smesso. Ho lavorato a Londra, in Germania, Svizzera e Lussemburgo. “Poi ho scelto come unico mestiere quello che avrei fatto gratis” dice spesso. “Ho giocato, alleno da una vita, non sono qui per caso. Mi chiamano ancora l’ex impiegato. Come fosse una colpa aver fatto altro”. La realtà è che non ce la faceva più, perché provate voi insomma. E soprattutto aveva capito che col calcio poteva campare. Aveva 40 anni e allenava in C. A Paolo Tomaselli del Corriere della Sera ha detto: “Il passo non è stato facile, ma la famiglia era d’accordo. La serie A adesso la vedo come un completamento e non mi fa molto effetto: il mio obiettivo vero era quello di fare della mia passione un lavoro e ci ero già riuscito. Di certo il calcio non è tutto uguale, ma non è detto che le emozioni e le soddisfazioni interiori siano più grandi se si sale di categoria”.

 

Suo padre, Amerigo Sarri, aveva fatto altro, ciclista: vinse 37 gare da dilettante, fece due anni da professionista e poi lasciò. Perché senza vincere con lo sport non si campava. Il figlio l’ha in un certo senso vendicato e di certo l’ha onorato, perché la passione per lo sport gliel’ha data Amerigo e lui l’ha coccolata come solo certi figli fanno degli amori dei padri. “Ricordo i pomeriggi a vedere Merckx, ma anche le notti a guardare i match di Cassius Clay: sono un innamorato dello sport”.

 

Bene, qui la continuazione scontata è questa: siamo di fronte al nuovo Mazzone. L’allenatore old style, com’è che dicevano? Ah sì, “pane e salame”, con quel non so che di godurioso nel dare al “pane e salame” una dignità morale sufficiente a sconfiggere l’amoralità del calcio moderno, quello dei ricchi, dei viziati, degli schemi, dei computer, dei dati, dei numeri, della preparazione scientifica. E sì, Sarri ce le ha tutte: la provincia, l’aver cominciato dalla seconda categoria, l’aver fatto un altro lavoro, la cultura del sacrificio, Merckx, la nostalgia, la tuta. Perfetto per quel ritratto. Sbagliato. Perché Sarri è il contrario. Il suo calcio è scienza. Il suo calcio è preparazione, è un movimento da qui a lì in tot secondi e in quel momento. E’ la leggenda dei 33 schemi sui calci piazzati: “Ma no, non sono così tanti. In realtà in settimana ne proviamo 4-5 e cerchiamo di applicarli durante la partita”.

 

E’ un calcio ultramoderno, soprattutto il suo è un approccio ultramoderno, a dispetto del contorno e di alcuni aneddoti come quello delle scarpe dei giocatori del Pescara. Accadeva qualche stagione fa: i giocatori indossavano scarpe verdi, azzurre, rosa, arancioni, lui chiedeva di passargli sopra uno spray nero. Non era nostalgia era scaramanzia: sosteneva da tempo che il nero gli portasse fortuna. Una convinzione nata sulla panchina della Sansovino (che portò dall’Eccellenza alla C): aveva una divisa da riposo tutta nera e vinceva. Ha smesso quando non funzionava più. Contorno anche questo di una sostanza fatta di conoscenza, di studio, di attenzione ai particolari, di un’altra convizione: nel calcio dei piccoli vince chi è più organizzato, più preparato. Nel calcio dei grandi il piccolo più organizzato e più preparato è l’unico che si può salvare.

 

[**Video_box_2**]E’ l’opposto del pane e salame. E’ futuro, non passato. E’ anti-nostalgia. E’ cultura di un lavoro che passa sul campo, nei taccuini, nel computer. Quando gli chiedono che cosa faccia dopo gli allenamenti, Sarri risponde così: “Leggo, poi lavoro al computer, fino a tardi”. Studia video e dati. Prepara ogni giorno della settimana in maniera diversa. E’ l’argomento della tesi con cui è diventato allenatore al supercorso per la licenza Uefa da allenatore di prima fascia. Comincia così: “Quasi tutti gli allenatori prima o poi hanno parlato del loro modulo preferito o delle loro idee dal punto di vista tattico, ma molto raramente mi è capitato di leggere come vanno a preparare la partita: sia materialmente sul campo sia fuori dal campo. Io ritengo che in un calcio sempre più preparato dal punto di vista tattico e fisico sia di fondamentale importanza andare a predisporre tutte le singole partite nei minimi dettagli. Nei capitoli successivi che rappresentano le mie giornate lavorative, vado ad esporre la mia settimana di lavoro, iniziando dal come cerco di fare ‘l’analisi della partita’ appena giocata, passando poi al come studio i prossimi avversari e finendo sul come vado a preparare la prossima partita materialmente sul campo. Visto che la mia curiosità sul conoscere come le partite sono preparate dai vari allenatori non è quasi mai stata soddisfatta, ho scelto di mettere la mia piccola esperienza a disposizione di coloro che sono mossi dal mio stesso interesse su questo argomento. Per una corretta comprensione dei prossimi capitoli ritengo doveroso fare anche altre due premesse: 1) La settimana che sono andato a riepilogare è scelta casualmente tra quelle che avevo a disposizione e, pur non essendo uguale alle altre, la ritengo sicuramente indicativa sul mio modo di andare a preparare le partite. 2) Nella fase di stagione presa in considerazione la mia squadra stava giocando stabilmente con il 4-2-3-1 senza mai andare a snaturarsi contro nessun avversario, ma cercando solo di adottare degli accorgimenti in base a quello che avremmo trovato sul campo”.

 

Nelle 39 pagine c’è il suo manifesto professionale, c’è la spiegazione di un lavoro al quale noi spesso attribuiamo un valore esclusivamente psicologico. Leggendo si scopre di Sarri molto di più di quanto si possa capire dalle partite viste ogni weekend. Dovrebbe essere un esercizio continuo, quasi un obbligo: vuoi conoscere un allenatore? Leggi la sua teoria. Non è roba da fissati, è cultura del lavoro e dei lavori. Sarri è una scoperta, è un luogo comune smentito proprio perché lo puoi conoscere attraverso la sua maniera di essere allenatore. Troppo forte la tentazione di catalogarlo nella tipologia “allenatore di una volta”.

 

Perché sì, con tutte quelle cose lì, la provincia, la tuta eccetera, sarebbe stato un altro cliché. Invece è questo: “La mia analisi della partita prevede che nella giornata del lunedì sia l’allenatore sia l’allenatore in seconda, che io preferisco chiamare collaboratore, rivedano separatamente la partita del giorno precedente; preferisco separatamente per non influenzare il collaboratore nel formarsi le proprie opinioni. Solo se il collaboratore non è parte dello staff dell’allenatore ma è parte dello staff societario, nelle prime settimane di campionato, preferisco che la visione sia fatta insieme, in maniera che lui si renda conto di quali sono gli aspetti della partita che seguo maggiormente, per arrivare ad una analisi che segua un filo logico comune, cosa che sicuramente andrà a facilitarci e snellirci il lavoro futuro. A questo punto abbiamo introdotto un argomento importante sul quale forse vale la pena soffermarsi per un piccola riflessione: il collaboratore. Quali sono le sue funzioni? Qual è il collaboratore ideale? Per quanto riguarda le funzioni del collaboratore la mia opinione personale è che deve avere delle funzioni materiali e delle funzioni gestionali: materiali in quanto deve aiutare l’allenatore sia nei lavori sul campo che nei lavori di ‘scrivania’, fermo restando che secondo me i lavori tattici collettivi importanti, per avere ‘presa’ sulla squadra, devono essere condotti in prima persona dall’allenatore stesso; gestionali in quanto il suo ruolo lo mette in una condizione privilegiata rispetto alla figura dell’allenatore nei rapporti con i giocatori, per cui nella gestione di casi delicati può diventare di fondamentale importanza. Per quanto riguarda invece la figura del collaboratore ideale sarebbe troppo facile rispondere che è colui che, nello stesso tempo, è competente e senza le ambizioni per diventare a sua volta un allenatore. Penso che il collaboratore ideale sia quello con il quale abbiamo unità di pensiero e unità di intenti. Per unità di pensiero intendo vedere il calcio allo stesso modo; questo non significa che il collaboratore si deve annullare nell’allenatore in quanto deve rimanere sempre propositivo, ma significa solo condividere le idee di base. Per unità di intenti intendo invece la condivisione degli obbiettivi. Da queste riflessioni capite che secondo me il collaboratore, così come la figura del preparatore atletico, devono essere parte integrante dello staff personale dell’allenatore e non possono essere imposti dalla società”.

 

Il calcio d’oggi è intelligente. Sarri ne è l’esempio. Semplice, ma scientifico dallo strato più basico. Non è: metto undici uomini bravi e gioco. E’ metodo, è analisi delle caratteristiche proprie di ciascun giocatore, è una dieta personalizzata per ognuno a seconda del ruolo e dei compiti. Vi sembra noioso? Non se l’obiettivo è vincere, dove per vincere significa anche salvarsi (che per una squadra come l’Empoli è una vittoria straordinaria). Qualche settimana fa ha detto: “All’inizio del campionato c’erano due squadre che venivano date già per retrocesse. Una eravamo noi. Ora lottiamo, rischieremo per tutto il campionato, ma lottiamo”. L’Empoli ha segnato 14 gol, 13 li hanno segnati calciatori italiani. E’ un caso statistico voluto: se giochi con più calciatori italiani è più probabile che ciò accada. Anche questo è frutto di una scelta nata da uno studio. L’Empoli cerca giocatori da valorizzare e vendere, per giocare, ma anche per campare. L’organizzazione, lo studio, la scienza servono a non sbagliare scelte. Non è cancellare il talento, ma capirlo, a volte crearlo. E una volta capito o creato va allenato. Come? Sarri spiega: “Con la personalità, con la personalità. La facilità di parola. E la conoscenza, che rende credibile le prime due. Io studio anche 13 ore al giorno”.

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