Massimo Corsaro (foto LaPresse)

Corsaro, il fratello d'Italia che ha osato votare il Jobs Act. Ecco perché

Marianna Rizzini

“Matteo Renzi ci mette davanti a uno specchio con le nostre parole e ci chiede: vi piacciono o no? E però noi facciamo finta che non siano nostre”. Così parla Massimo Corsaro, deputato di Fratelli d’Italia con passata carriera Msi-An-Pdl alle spalle.

Roma. “Matteo Renzi ci mette davanti a uno specchio con le nostre parole e ci chiede: vi piacciono o no? E però noi facciamo finta che non siano nostre”. Così parla Massimo Corsaro, deputato di Fratelli d’Italia con passata carriera Msi-An-Pdl alle spalle e con presente, incrollabile convinzione che “il Jobs Act andasse assolutamente votato (come ha fatto lui), “perché promette pari pari le cose che promettevano i nostri programmi degli ultimi vent’anni, programmi firmati An, Forza Italia e Pdl”. “Nel Jobs Act”, dice Corsaro al Foglio, “anche se per ora soltanto a livello di legge delega, ci sono cose che colpevolmente non siamo riusciti a fare, a destra, dal 1994 a oggi”. Se “al momento dei decreti attuativi” avrà da ridire, Corsaro dirà, annuncia. Intanto, però, da deputato-dissidente di Fratelli d’Italia, e da commercialista anche convinto che “le condizioni di mercato oggi tanto più ci impongano di essere coerenti con le nostre proposte mai attuate in tema di fisco, lavoro e sburocratizzazione”, l’altroieri alla Camera ha votato “sì”, sorridente dietro agli occhiali mentre i colleghi di partito uscivano dall’Aula assieme a Lega, Sel, FI, parte della minoranza Pd e M5s. Dopodiché si è scontrato (è finita a parolacce) con il collega Fabio Rampelli e, più sottotraccia, con chi, a destra, “ha riscoperto un ruolo di opposizione finora non sbandierato, anzi, su temi che avrebbero dovuto farci insorgere” (a questo punto Corsaro, che rivendica il suo essere “di destra”, cita come bestie nere “la depenalizzazione delle droghe” e le “aperture” in tema di “diritti”, tutti argomenti su cui avrebbe “voluto sì vedere uscire dall’Aula tanti colleghi e amici”).

 

Invece oggi si ritrova isolato, dice, “ma sempre più convinto”, e non importa se Pippo Civati, dalla minoranza estrema del Pd, proprio sul suo caso si eserciti, trasecolando, dalla pagine del Fatto (“è incredibile in Aula ascoltare la dichiarazione di voto di Massimo Corsaro, Fratelli d’Italia, uno che più a destra non si può…: ha detto di riconoscersi pienamente nel Jobs Act del governo Renzi. Per me questo è un problema enorme”, ha detto Civati). Ma per lui, Corsaro, problema non è: “Ben venga, e dico pure che se avessimo tutti votato sì al Jobs Act non avremmo aiutato Renzi, anzi, avremmo dato una mano ai suoi nemici. Ma saremmo stati coerenti con noi stessi. Mica possiamo continuare a fare come abbiamo fatto nel 2001-2002, quando, dopo una vittoria, e con Silvio Berlusconi al governo, ci siamo spaventati di fronte alle piazze di Sergio Cofferati”. Che cosa avrebbe dovuto fare la destra, per Corsaro è presto detto: “La Cgil di Cofferati avrebbe anche potuto decidere di fare uno sciopero generale di due mesi, ma il centrodestra avrebbe dovuto dimostrare determinazione nel portare avanti istanze per cui eravamo stati eletti. Vedi come fa Renzi? Chiama la Camusso e la ascolta per dieci minuti, e lei dice che lui le ha fatto fare anticamera. Ecco: ascoltare, sì, ma per il tempo di un caffè. Poi andare avanti”. Corsaro ha un brutto presentimento: “Così il centrodestra si condanna a un lungo periodo di subordinazione”, dice ai compagni che, uscendo dall’Aula, secondo lui “hanno voluto preservare una sorta di verginità di Fratelli d’Italia come opposizione dura”. “Superare la resistenza culturale del filone della destra che su questi argomenti ha atteggiamenti para-sindacali”, consiglia. E il j’accuse, quasi quasi, diventa epitaffio: “Dal punto di vista della credibilità, con questo voto è un po’ come se il centrodestra fosse morto”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.