Matteo Renzi, Giuliano Poletti e Maria Elena Boschi (foto LaPresse)

In lode del Jobs Act

Marco Valerio Lo Prete

Contro le critiche ragionate (ma filo Cgil) di Ricolfi: “Guarda solo a una tessera del mosaico”. Lo choc pro crescita (non solo per i neo occupati), i part-time buoni e il solita sindacato. Parla Ichino.

Roma. Ieri il governo sembrava intenzionato a non ricorrere al voto di fiducia per far approvare il Jobs Act alla Camera dei deputati. Nel compiacimento dell’intero Pd, dall’ala sinistra di Cesare Damiano (“grande soddisfazione”) a quella filogovernativa del ministro Giuliano Poletti (“sono soddisfatto”). Tuttavia la riforma del mercato del lavoro del governo Renzi continua a suscitare polemiche. Non c’è soltanto lo sciopero generale convocato da Cgil e Uil, ma anche l’insistere di critiche a un livello più teorico. E’ questo il caso di Luca Ricolfi, editorialista della Stampa, che domenica, in un editoriale intitolato “Sul lavoro il governo rischia il flop”, ha motivato il personale “sospetto che abbia ragione la Camusso (segretario generale della Cgil) e torto il governo”. Ricolfi ha esordito contestando la cifra fornita dal governo Renzi sui “153 mila posti di lavoro creati negli ultimi sei mesi” che segnerebbe un’inversione di tendenza, in un paese in cui i disoccupati sono 3,2 milioni (il tasso di disoccupazione è al 12,6 per cento); il sociologo sostiene che il conteggio degli occupati dovrebbe partire da marzo (22,356 milioni) e non da aprile (22,295 milioni), e allora i posti di lavoro creati sarebbero 70 mila. Si potrebbe controbiettare che la prima gamba del Jobs Act, cioè il decreto Poletti che ha liberalizzato i contratti a termine, è stata approvata solo a metà marzo, dunque i suoi effetti positivi sull’occupazione sono iniziati da aprile, ma d’altronde è lo stesso Ricolfi a riconoscere che 83 mila posti di lavoro in più tra agosto e settembre sono un segnale. A questo punto però il sociologo, non certo accusabile di conservatorismo, motiva la ragionevolezza degli appunti mossi dalla Cgil e da alcuni studiosi. Pietro Ichino, giuslavorista e senatore di Scelta civica, parlando al Foglio preferisce confutare la tesi di fondo di Ricolfi: “Non è possibile dimostrare scientificamente che il governo abbia ragione sugli effetti attesi del Jobs Act, ma è altrettanto certo che Ricolfi guarda soltanto a una tessera del mosaico, cioè al numero di posti ‘aggiuntivi’ che sarebbero creati con le nuove regole. Renzi correttamente vuole dare invece uno choc a tutto il sistema”.

 

Secondo Ichino, il governo con il Jobs Act “sta mettendo in campo due misure: sta riducendo il costo del lavoro di 8 mila euro l’anno per i nuovi contratti a tempo indeterminato e sta fortemente riducendo le rigidità normative su questo tipo di contratto. E’ certo che gran parte dello sgravio finanziario avrà l’effetto di sostituire contratti a termine con contratti stabili”. Il giuslavorista osserva che “questa sostituzione avrà a sua volta un effetto tonificante sia sui consumi, e quindi indirettamente sull’occupazione, sia sulla produttività del lavoro”. Ichino prevede “un forte aumento della quota di assunzioni a tempo indeterminato che potrebbero essere dai due ai tre milioni nel primo anno”. E aggiunge che il governo punta a “rimettere in circolazione centinaia di migliaia di disoccupati oggi bloccati in freezer con la cassa integrazione e la ‘mobilità a perdere’, così da sfruttare i giacimenti occupazionali inutilizzati: centinaia di migliaia di posti permanentemente scoperti per mancanza della manodopera qualificata che cercano le imprese”. 1,4 milioni di posti vacanti, secondo la Stampa di ieri. Il senatore di Scelta civica osserva per esempio che l’abolizione delle pensioni di anzianità, di per sé, ha innalzato di due punti il tasso di occupazione dei 55-65enni. Sostiene in definitiva Ichino: “Ricolfi rimprovera al governo di non aver fatto ricorso allo schema ‘maxi-job’ da lui proposto che conteneva uno sgravio per il solo lavoro incrementale”, cioè i posti creati in aggiunta a quelli esistenti. “Ho condiviso quella proposta, ma il governo può ben rispondere: noi puntiamo a invertire una tendenza generale della congiuntura, agendo nello stesso tempo sulla flessibilizzazione della disciplina dei rapporti, sulla riduzione del costo del lavoro, sul miglioramento della sua qualità, sull’aumento della produttività e dei consumi. Spostare il peso delle tasse da lavoro e impresa a consumo e possesso costituisce di per sé una manovra espansiva, dà ossigeno al sistema produttivo”. Ecco dunque cosa intende Ichino quando dice che “Ricolfi si concentra soltanto su una tessera del mosaico”.

 

[**Video_box_2**]Sono altri due, poi, gli appunti amichevoli di Ichino all’editorialista della Stampa. “Primo: Ricolfi sospetta che l’aumento di occupati registrato finora sia dovuto all’aumento dei rapporti part-time. Nessuno ha questi dati a disposizione, per ora, ma se pure così fosse, non parlerei del lavoro part-time in termini spregiativi. La piena occupazione si ottiene anche aumentando la quota del part-time che in Italia è inferiore rispetto a quella di tutti gli altri maggiori paesi centro e nord-europei, Germania inclusa”. Ichino conclude sorridente: “Ricolfi, esagerando forse nel voler fare il bastian contrario, affianca dichiaratamente le sue critiche a quelle della Cgil” che invece il giuslavorista, sulle colonne di questo giornale, ha definito parte di un “blocco politico conservatore”. “Ricolfi poi dimentica che quando la Cgil invoca ‘una politica industriale e una politica del lavoro’, chiede in realtà più investimenti statali, cioè qualcosa che sarebbe possibile soltanto aumentando il debito pubblico, le tasse, o rimettendosi a battere moneta: tutte cose che oggi ci sono completamente precluse”.
Marco Valerio Lo Prete

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