Risorge il Pireo, la Grecia dà lezioni private all'Italia grazie ai cinesi

Alberto Brambilla

“Dopo avere iniettato miliardi di dollari e avere promesso un altro mezzo miliardo di investimenti”, la compagnia di stato asiatica vuole fare della Grecia il suo hub per le esportazioni di merci cinesi.

Roma. Il nuovo terminal che verrà costruito dalla multinazionale cinese Cosco nel porto greco del Pireo creerà mille posti di lavoro. Non c’era modo migliore per replicare ai sindacati che cinque anni fa protestavano contro l’arrivo dello straniero: chissà quanti hanno ancora il coraggio di gridare “Cosco torna a casa!”. E’ sferzante il Wall Street Journal di ieri, quando rende conto in questi termini della trasformazione dello scalo ateniese da simbolo della decadenza industriale e morale del paese finito sotto tutela della Troika a uno dei principali porti del Mediterraneo e per di più quello con la crescita più rapida dei traffici. “Dopo avere iniettato miliardi di dollari e avere promesso un altro mezzo miliardo di investimenti”, la compagnia di stato asiatica vuole fare della Grecia il suo hub per le esportazioni di merci cinesi. La notizia arriva il giorno in cui la Grecia fa segnare un avanzo primario record.

 

La China ocean shipping company (Cosco), fondata nel 1961, ha fatto una grande scommessa sul Pireo quando, dopo qualche titubanza, ha deciso nel 2009 di intraprendere l’operazione più significativa al suo attivo (dopo una serie di accordi di inferiore cabotaggio in Asia e nel mar Rosso). Cinque anni fa la quinta compagnia al mondo per quota di mercato si è quindi assicurata i diritti della gestione di metà del porto greco per i prossimi trent’anni (con possibilità di un’estensione temporale) al prezzo di 490 milioni di dollari. I critici sostengono che la cifra sia inferiore al valore di mercato ma è solo con l’arrivo dei cinesi che il porto ha recuperato efficienza e produttività, dice il Wsj. Per il governo di Pechino è motivo di lustro avere chiuso con successo un accordo del genere con un governo occidentale. I cinesi sono spesso accusati di chiudere contratti pasticciati in giro per il mondo, visti i precedenti in Africa e il recente annullamento della commessa per la costruzione della linea ferroviaria dell’alta velocità in Messico (il sospetto dei concorrenti, ritiratisi in massa dalla gara, era che la China Railway Construction avesse preso accordi sottobanco con imprese messicane appartenenti al consorzio di cui era capofila). Cosco è entrata nell’Olimpo delle grandi compagnie portacontainer avvicinandosi a colossi come l’olandese Møller-Mærsk e la svizzera Msc.

 

[**Video_box_2**]Invece per la Grecia, assetata di investimenti esteri nel mezzo della crisi economica, è stato l’inizio di una privatizzazione che promette di essere un successo storico, dice il Wall Street Journal. I cinesi fudrono accolti con entusiasmo dal governo del socialista George Papandreou, e il suo successore conservatore Antonis Samaras ne sta raccogliendo i frutti. L’arrivo di capitali freschi ha aiutato a ripristinare la pace sociale tra le banchine del porto. Nell’ottobre 2009, quando Cosco aveva preso il controllo del terminal, i dipendenti, galvanizzati dall’imminente vittoria del Partito socialista alle elezioni generali, scioperarono lasciando 4.500 container merci a giacere per settimane. I lavoratori oggi guadagnano 1.200 euro al mese, meglio della media nazionale, ma la metà rispetto a quanto guadagnavano nel periodo pre crisi. “Hanno creato un ghetto”, denuncia il partito di estrema sinistra Syriza. Tuttavia ci sono altri benefici che non riguardano la busta paga dei camalli ma che aiutano l’economia reale greca a risalire la china: nel 2008 i container in transito dal Pireo erano 433.582 l’anno, nel 2013 sono arrivati a 3,16 milioni, l’80 per cento grazie a Cosco. Il ritorno degli investimenti ha spinto anche altri campioni globali a guardare con favore al principale porto greco, il più importante  d’Europa per traffico passeggeri e un approdo imprescindibile per i mercantili più grandi del mondo. Questa ovviamente è una pessima notizia per i porti italiani nei paraggi. In particolare per lo scalo mercantile di Taranto, il cui traffico in entrata e in uscita dipende per il 70 per cento dall’acciaieria Ilva che ha drasticamente ridotto la produzione rispetto a due anni fa quando sono cominciate le vicende giudiziarie che l’hanno affossata (le tonnellate movimentate al porto si sono quasi dimezzate nel 2013 rispetto al 2008). A fine settembre la compagnia cargo taiwanese Evergreen, la quarta più importante del mondo, ha deciso di tagliare fuori dalle sue rotte transoceaniche il porto tarantino e ha trasferito al Pireo tutti i traffici. Il molo gestito da Evergreen e dalla conglomerata cinese Hutchison Whampoa (leader nei servizi portuali) passerà dai 12 mila container gestiti ogni mese a circa 2 mila, secondo il Sole 24 Ore. Il motivo del disimpegno è da ricercare innanzitutto nel ritardo pluriennale a causa soprattutto di contenziosi legali dei lavori – finanziati da tempo – di ammodernamento delle banchine e di dragaggio dei fondali asserviti al molo per poter accogliere mercantili di maggiore portata. L’autorità portuale ritiene che quello di Evergreen sia un arrivederci e non un addio giacché, il 30 ottobre, durante un incontro con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, Evergreen e Hutchison hanno dato disponibilità a rendere pienamente operativo il terminal al 30 giugno 2016, termine ultimo per la conclusione dei lavori.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.