Carmelo Barbagallo e Luigi Angeletti (foto LaPresse)

Lo sciopero dei garantiti

Redazione

Opporsi al Jobs Act è di retroguardia, nella Pa poi è ridicolo

I tre sindacati confederali hanno risposto all’approvazione del Jobs Act, nel quale si prevedono i licenziamenti disciplinari, annunciando lo sciopero generale per il 12 dicembre, sia contro quest’ultimo provvedimento governativo sia contro la legge di stabilità. Cgil e Uil lo proclamano per il settore pubblico e per quello privato. La Cisl, refrattaria agli scioperi generali, lo fa solo per il pubblico impiego. Eppure questo è il settore più garantito dalla legge di stabilità e più protetto dal pericolo di licenziamento per motivi economici. Ma è anche il settore che dovrebbe essere più sensibile al rischio di perdere il posto per motivi disciplinari e in cui – viceversa – provvedimenti severi potrebbero giovare giacché abbondano l’indisciplina e l’inefficienza, favorite dall’automatismo nell’aumento di retribuzione per anzianità di servizio e dalla mancanza del vaglio del mercato.

 

Non sembra questo il momento per uno sciopero generale di tutti o della Pubblica amministrazione. Infatti, come dice il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, l’Eurozona è sull’orlo della deflazione. E questo ostacola il deleveraging nei paesi con elevato debito, rallenta il riaggiustamento dei prezzi tra i diversi paesi, il recupero della competitività e l’eliminazione degli squilibri esterni. Inoltre pretendere aumenti salariali quando non ci sono risorse pubbliche disponibili e l’inflazione è sotto zero sfida il buon senso. Il Jobs Act è necessario per il recupero della produttività e, per farlo, è utile consentire, salvo in casi particolari, il licenziamento disciplinare per assenteismo, rifiuto della flessibilità negli orari di lavoro o della mobilità territoriale.

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