La cavalcata di Buttafuoco tra i demoni romantici degli Inferi nazi

Paolo Simoncelli

Il sottotitolo: “Romanzo”, non convince per difetto; così come la dichiarazione della quarta di copertina: “Questo non è un libro di storia. Questa è una storia d’amore”. “I cinque funerali della signora Göring” del romanzo ha il vigore della scrittura, della storia ha le fonti documentarie.

Il sottotitolo: “Romanzo”, non convince per difetto; così come la dichiarazione della quarta di copertina: “Questo non è un libro di storia. Questa è una storia d’amore”. No, “I cinque funerali della signora Göring” (Mondadori) non è un romanzo, ma tanti, assemblati da Pietrangelo Buttafuoco come tessere di puzzle che prendono il posto obbligato per offrire solo alla fine l’immagine ricomposta dai lacerti della memoria offesa. E non è un libro di storia, ma un affresco di storia, in cui il dipanarsi dell’amore drammatico (se non fosse tale, non sarebbe assolutizzante) trae alimento e s’intreccia col dramma politico-sociale dell’Europa del Novecento. E’ una evocazione epica e lirica che dalle radici di saga nordica, baltica, risale fino alle vicende dell’avanzata sovietica nella Prussia, della nascita della Ddr e del connesso apparato di soffocante controllo poliziesco. Questo libro, del romanzo ha il vigore della scrittura, della storia ha le fonti documentarie.

 

E’ l’amore improvviso tra il giovane ex capitano dell’aviazione tedesca, Hermann Göring, e la nobile svedese Carin von Fock, sposata con un alto ufficiale di stanza a Stoccolma, da cui ha avuto un figlio, a condurre il lettore all’interno di una Germania degli inferi, di un magma europeo che ribolle e che tende a essere esorcizzato dalla memoria. La Germania del dramma del primo Dopoguerra, della fame, del caos e della disperazione cui oppone il mito dell’onore, della “Camaraderie”, del rispetto del coraggio del nemico spartachista e, insieme a esso, del disprezzo per la socialdemocrazia traditrice; è la Germania dell’Arbeiter di Jünger e dei “Proscritti” di Von Salomon, pronta a stringersi in un patto inconfessato, tra opposti, di estremismo totalitario, come totalizzante è quell’amore che ha portato Carin a lasciare seduta stante la famiglia, il castello, gli agi, la mondanità della civile e morbida Svezia, per seguire nella povertà e nelle stamberghe di Monaco il giovane cavaliere ancora lontano dal destino che lo annovererà tra i demoni. Un amore disperato. Un amore che innerva e si innerva nei contrasti estremi, personali e politici, tra il perbenismo farisaico e generoso dell’alta società svedese (nobile in ogni senso il marito che sostiene economicamente la moglie adultera e l’amante), e le passioni e le violenze, le collette povere e la rete generosa di solidarietà degli ex combattenti tedeschi. Ma i due protagonisti, tra avventure e passioni (ipotecata la vita di lei dalla tisi, quella di lui dalla morfina dovuta assumere a seguito delle ferite subite nel corso del putsch di Monaco del novembre 1923) “non fanno che abitare gli ospedali”. Di qua e di là del Baltico, in Svezia e in Germania, in un pendolare sempre più penoso e tragico, che avrà una traditrice pausa col successo politico di lui (deputato al Reichstag a battagliare vittoriosamente contro i deboli governi weimariani) coincidente con la morte di lei in Svezia. Separati proprio in quel momento, dopo esser vissuti inseparabilmente, da una simbologia premonitrice del seguito drammatico. Goebbels (che, come Hitler, aveva compreso la forza di lei e le debolezze di lui) intuisce, nel corso dei funerali “svedesi”, la potenzialità nazional-popolare della vicenda di lei. Ne farà l’eroina del popolo germanico. Ai funerali in Svezia, seguiranno due anni dopo, in occasione della traslazione della salma, quelli di stato in Germania, col feretro che attraversa le terre dei Nibelunghi affollate di popolo e soldati fino all’inumazione nella ormai sontuosa tenuta di Goering: Carinhall. Il romanzo della vita di Carin, scritto dalla sorella, sarà il libro più venduto in Germania, secondo solo al “Mein Kampf”. Goebbels ne farà tradurre la vita in un film dai toni eroici e commoventi.

 

Nella seconda parte del volume, che Buttafuoco tratteggia come crescendo wagneriano di tragica sconfitta, con la neve “zuppa di gasolio” dei carri russi che avanzano nelle foreste della Prussia, emerge timido al proscenio il deuteragonista finallora nascosto dagli eventi: il guardacaccia di Carinhall che, personalmente con Göring, nasconde la salma di Carin in una fossa improvvisata nella campagna all’avanzare sovietico. E’ l’umile Erich Oven il simbolo antico della Treue, della fedeltà indissolubile, custode del segreto testimoniale, ormai pericoloso, di quell’antico amore. Una fedeltà, nel contesto nuovo e duro della zona d’occupazione sovietica, della Ddr e della Stasi, che al prezzo del suicidio consente l’avventuroso ritorno in Svezia, per il suo ultimo funerale, dei resti della donna che aveva unito nell’amore mondi diversi e opposti, e che aveva distillato dal male un amore capace di sublimarlo.

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