Sto malissimo, ma devo intrattenere lo psicoanalista e farlo ridere

Annalena Benini

In una scena di “Manhattan”, Woody Allen discute con Diane Keaton, che non ha intenzione di farsi psicanalizzare da lui, visto che per questo paga già un medico. “Lo chiami medico, quel tipo là?”, chiede Allen, “cioè, non ti viene qualche sospetto, quando il tuo analista ti chiama alle tre di notte e si mette a singhiozzare al telefono?”.

In una scena di “Manhattan”, Woody Allen discute con Diane Keaton, che non ha intenzione di farsi psicanalizzare da lui, visto che per questo paga già un medico tre volte la settimana. “Lo chiami medico, quel tipo là?”, le chiede Allen, “cioè, non ti viene qualche sospetto, quando il tuo analista ti chiama alle tre di notte e si mette a singhiozzare al telefono?”. E’ una delle possibilità, in fondo, quando si stringe una relazione così intima con un altro essere umano, pur tenuto ad ascoltare con distacco ossessioni e tormenti, ad aiutare a fare chiarezza e pace con l’infanzia infelice e i disastri adulti. Il galateo dell’analista non prevede telefonate notturne, innamoramenti per i pazienti, o inversione dei ruoli. Ma il galateo di chi va in analisi? Nei film di Woody Allen (grande esperto di strizzacervelli) le persone in agosto impazziscono, a causa dell’esodo degli analisti, oppure li inducono al suicidio (“Il mio analista ha lasciato un biglietto: sono uscito dalla finestra”). E in “Mad Men” parlano fissando un punto sul soffitto, senza mai aspettarsi una risposta. Lo psicoanalista non ha l’aria di divertirsi. Invece nella realtà succede, come racconta il New York Times, che i pazienti siano talmente beneducati e desiderosi di approvazione da sentire il dovere di intrattenere il proprio psichiatra, di farlo ridere, sdrammatizzando i propri guai e cercando di infilare una battuta al momento giusto. “Per lungo tempo ho pensato che il mio ruolo di brava paziente fosse quello di intrattenere. Anzi, sono diventata così abile a mettere i miei problemi in una luce divertente, che uno dei miei terapisti mi ha chiesto se non avessi mai pensato di diventare una stand-up comedian”, ha scritto Daphne Merkin sul Nyt.

 

Lo psicoanalista ridacchiava per tutta la sessione, e a volte scoppiava in risate fragorose, la paziente si sentiva rassicurata, e in dovere di farlo divertire ancora di più. Preparando dei monologhi con tempi comici strettissimi, creando trame accattivanti, tentando di cacciare via la tristezza in onore della persona che avrebbe dovuto curarla. Magari tutto va a rotoli, ma ci si sente maleducati a tenere in ostaggio qualcuno, anche se è uno psicoterapeuta, con i propri buchi neri. E comunque si vuole fare una buona impressione, essere affascinanti anche sull’orlo del suicidio. Così, il paziente modello diventa esperto in show comici. Lo strizzacervelli si gode lo spettacolo, oppure spiega la nevrosi narcisistica. I pazienti la abbandonano, o abbandonano il terapista. “Ma quanto mi mancano quelle risate”, pensano adesso, serissimi, fissando un punto sul soffitto.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.