Una scena del film "Desperate Housewives"

Mamma a chi?

Annalena Benini

Quando insegnanti, allenatori, pediatri, personale di treni e aeroporti, poliziotti, ristoratori, passanti, ma anche mariti, smettono di chiamarti con il tuo nome (o con “signora”) e per brevità, semplificazione, certezza, dicono “mamma”, ci sono due tipi possibili di reazioni.

Quando insegnanti, allenatori, pediatri, personale di treni e aeroporti, poliziotti, ristoratori, passanti, ma anche mariti, smettono di chiamarti con il tuo nome (o con “signora”) e per brevità, semplificazione, certezza, dicono “mamma”, ci sono due tipi possibili di reazioni. La prima è di naturale entusiasmo, quasi di gratitudine: mi avete riconosciuto, pensa la donna con i bambini al seguito, o con un’inequivocabile allure da madre (pupazzi di peluche che spuntano dalla borsa, biberon in mano, aria apprensiva e vagamente rivendicativa), avete capito che faccio parte del favoloso club delle mamme e che sono pronta a esibire in qualunque momento la mia teoria sull’allattamento, sul lavoro da casa, sulle scuole private e sulle vaccinazioni, e penso anche di dover saltare la fila, perché sono una mamma e il mio tempo è più prezioso del vostro. La seconda reazione è di irritazione e fastidio: perché mi chiami mamma, se non sei mio figlio? Vuoi che ti faccia un trattamento anti pidocchi o che metta le copertine con le etichette anche sopra i tuoi quaderni?

 

L’irritazione, raccontata da Heather Havrilesky sul domenicale del New York Times, ha sempre a che fare con la considerazione del proprio posto nel mondo: avere dei figli non farà di te una persona nuova, concentrata soltanto sulla pizza senza glutine e sulle strisce pedonali da ridipingere davanti alla scuola. Sotto il tornado sarai ancora lo stesso essere umano di prima, ma sarà difficile ricordarlo perché, come scrive Havrilesky, “la maternità è stata elevata – o forse abbassata – a stile di vita, a un’identità totalizzante con richieste e aspettative che eclissano tutto il resto della vita di una donna”. Non sei più una persona, sei una madre. Non leggi più libri, ma manuali sull’alimentazione. L’impressione è che ci sia,  invece, un piccolo problema culturale, superiore perfino alla percezione di un’eclissi della vita di una donna. Questo problema riguarda l’incontentabilità. Il fatto è che molti dicono “ehi, mamma”, certi di fare la cosa giusta, anche politicamente, di dare rilievo al Grande Ruolo Fondamentale, di inchinarsi di fronte alle battaglie per conciliare il lavoro con la famiglia, e la famiglia con la casa, e la casa con il mondo. Dicono “mamma” anche perché si sentono tenuti a dirlo, temono di essere accusati di aridità, maschilismo, indifferenza, arretratezza, cattiveria se non si accorgono, immediatamente, che hanno davanti non solo una signora ma una madre, una donna che sicuramente è stanca, ha mille cose da fare, e invece è lì, dal pediatra, al supermercato, o al check-in in aeroporto, mentre trascina mille trolley, e intimamente ritiene che non dovrebbero nemmeno controllarle il passaporto, quindi alza la voce con i figli, per far notare che sono proprio suoi e le stanno togliendo le ultime forze, e che quindi il poliziotto dovrebbe essere più gentile. Così il poliziotto diventa davvero gentile e dice: “Ehi, mamma”, e la mamma si offende. Non sono tua madre, sbirro.

 

[**Video_box_2**]Havrilesky scrive che stava bevendo un drink con le amiche quando uno sconosciuto le ha apostrofate: “Gruppetto di mamme che chiacchiera, eh?”, e loro hanno scosso la testa, mortalmente offese, come di fronte al maschilismo di una puntata di “Mad Men”. Il mondo vede mamme dappertutto anche perché parliamo di mamme dappertutto, e vorremmo che dappertutto pensassero “ehi, mamme”, però senza dirlo, ma con sconfinata ammirazione. E con olio e aceto a parte, e la torta riscaldata, ma senza il gelato sopra: il gelato a lato, ma che sia di fragole… (cit).

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.