Difetto di radicalità: parli il governo

Giuliano Ferrara

Si può considerare buona, senza eccedere in fanatismo, la performance italiana ed europea di Renzi e Padoan (e Poletti e Delrio). Poi arriva l’Istat con i suoi dati. Se ne fotte dell’aumento dei posti di lavoro. E spara grosso: la manovra non avrà effetti nei prossimi due anni, così la domanda e i consumi non ripartono.

Si può considerare buona, senza eccedere in fanatismo, la performance italiana ed europea di Renzi e Padoan (e Poletti e Delrio). Si può giudicare eccessiva, frutto di un automatismo tutto sommato corporativo, figlio di una visione malsana di questo paese e della crisi europea e mondiale, la reazione militante del sindacato, a colpi di scioperi generali e parolone grosse. Insomma, il nuovo autunno caldo, ennesimo in una sequenza che dura da quasi mezzo secolo. Ci si può compiacere delle parole assennate del capo di Confindustria, che saluta come cose importanti la decontribuzione e il taglio dell’Irap, mantenendo una riserva sull’incidenza della manovra quanto al volume e alla qualità degli investimenti necessari alla ripresa dello sviluppo. Si può pensare che sia esagerata tutta questa caciara contro gli 80 euro mensili a una platea di milioni di lavoratori, proclamati inutili in linea di principio e di fatto, e anche esagerato l’allarmismo sul trasferimento volontario (eventuale) in busta paga dell’indennità di liquidazione. Poi arriva l’Istat con i suoi dati. Se ne fotte dell’aumento dei posti di lavoro. Se ne impipa del margine di flessibilità quanto al rientro dal debito ottenuto nel negoziato europeo. E spara grosso: la manovra non avrà effetti nei prossimi due anni, così la domanda e i consumi non ripartono.

 

Aggiungiamo a questo esercizio di profezia contabile e statistica il pezzo del Wall Street Journal di ieri, a firma Simon Nixon, che pubblichiamo a fianco. L’Italia bancocentrica è l’anello debole della catena che dovrebbe consentire alla liquidità europea di trasferirsi alle imprese, anche la Draghi economics è arrivata al suo punto morto, ci vuole non già una ricapitalizzazione o un cambiamento di regole, ci vuole una rivoluzione culturale nel modo di essere di economia e finanza, delle banche sopra tutto.

 

[**Video_box_2**]Aggiungiamo la diagnosi critica estremamente negativa di Corrado Passera, da noi ospitata nei giorni scorsi. Passera vuole creare un nuovo soggetto politico anti-Pd, va bene, è una fonte parziale, ma le cose che dice colpiscono. Su tutt’altro piano, e con una pregiudiziale positiva su Renzi e sul suo governo, Carlo De Benedetti, anch’esso da noi ospitato qui in prima pagina, ripreso come fonte dal New York Times, dice che ben altro che questa manovra è necessario: focalizza su un deficit spending del 6 per cento, una grandezza incommensurabile rispetto alla misura della flessibilità contrattata dal governo a Bruxelles, la questione della radicalità delle misure necessarie al reinnesco dello sviluppo (e sulle tasse è lo stesso: ci vuol altro che quel taglio Irap, bisogna attaccare l’Ires, la tassa sulle imprese e i loro profitti, e forse è necessaria una patrimoniale). Altre voci che abbiamo raccolto riservatamente vanno tutte nella stessa direzione. E la voce delle voci o madre di tutte le voci sostiene, con parecchie conferme non solo di studiosi e altre autorità istituzionali e di establishment, che la Germania è alla vigilia di una procedura di uscita concordata dall’euro, vuole rifare il marco raddoppiando l’euro per una fase di transizione, dunque ricontrattare l’accordo di Maastricht dal grado zero e innescare l’Europa famosa a due velocità. Questa critica per deficit di radicalità alla manovra Renzi-Padoan non sembra una gufata qualsiasi, sembra un problema: sarebbe bene che il governo su questo comunicasse il suo punto di vista, spiegasse come replica alla critica, e ci mettesse tutti in grado di capire meglio, rosiconi e ideologi a parte, dove si va a parare. 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.