Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble e Angela Merkel (foto Ap)

L'eterno ritorno dell'ortodossia

Giovanni Boggero

Berlino concede spago, ma Weidmann mette Draghi alla sbarra.

Berlino. Il viaggio negli Stati Uniti del ministro delle Finanze tedesco, il cristiano-democratico Wolfgang Schäuble, e del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, in occasione del meeting annuale del Fondo monetario internazionale è avvenuto in un clima piuttosto teso, nel quale la posizione della Germania sulla crisi europea vacilla sotto il peso delle pressioni dei partner e delle istituzioni internazionali, che chiedono un deciso cambio di rotta sia sul fronte della politica monetaria sia sul versante della politica economica e fiscale. Schäuble e Weidmann hanno parato i colpi di Mario Draghi, ma sono sembrati più soli che mai.

 

La giornata di oggi si apre, tuttavia, sotto un’insegna di colore opposto. Stamane comincia a Lussemburgo, dove ha sede la Corte di giustizia europea, la prima udienza del processo sull’Omt (Outright monetary transactions), il programma di acquisto illimitato di titoli di stato approvato dalla Bce nel settembre 2011, ma mai attivato. La sentenza arriverà il prossimo anno. A gennaio il Tribunale costituzionale federale di Karlsruhe aveva rinviato la questione a Lussemburgo, dubitando che il programma fosse conforme al diritto Ue e avallando così le tesi euroscettiche di una fetta della classe dirigente tedesca.

 

Nel frattempo, come documentato dal Foglio già a settembre, la difesa del programma Omt, affidata al giurista tedesco Frank Schorkopf, è stata assunta in via esclusiva dal Servizio giuridico interno della Bce. Le memorie presentate presso la Corte da parte di alcuni stati membri (Italia, Finlandia, Portogallo, Irlanda, Olanda, Grecia, Francia, Polonia, Cipro e Germania inclusa) vanno tutte nel senso di una conformità dell’Omt al diritto Ue o persino dell’irricevibilità del rinvio pregiudiziale.

 

Quindi se il governo tedesco ha sostenuto – come fa nelle memorie processuali – la conformità alle regole europee del programma di acquisto titoli della Bce è invece la Bundesbank a osteggiare Draghi in punta di diritto. Per Draghi la battaglia contro le resistenze tedesche a un accomodamento della politica monetaria e fiscale si protrae ormai da diversi mesi. L’ultimo episodio è andato in scena la scorsa settimana a Washington. Draghi ha sottolineato che i tempi sono maturi per uno stimolo capace di invertire il trend deflazionistico, mentre Weidmann ha rammentato i rischi di un Quantitative easing in stile Fed. Sul fronte del rallentamento della crescita anche in Germania, sia la Bce, sia il Fmi hanno lanciato un allarme che Schäuble ha cercato di ridimensionare. E’ vero che le stime della crescita tedesca per il 2014 e il 2015 sono state tagliate, ma la Germania farà di tutto per rilanciare una politica di investimenti infrastrutturali che aiuti la ripresa, anche quella del Vecchio continente. Ieri, inoltre, dall’Eurogruppo un mite Schäuble s’è detto “ottimista” circa l’approvazione della legge di stabilità francese in sede di Commissione Ue. Le promesse di Berlino lasciano dunque pensare a un lento cambio di rotta. Il vice-presidente dell’Spd, Ralf Stegner, ha persino proposto di abbandonare l’obiettivo del pareggio di bilancio e sciogliere i cordoni della borsa. Un’idea condivisa dalle colonne dello Spiegel anche da Marcel Fratzscher, direttore del più influente istituto di ricerca economica del paese (Diw).

 

[**Video_box_2**]A mantenere la barra del timone ben dritta sembra essere rimasto solo Weidmann. In un colloquio con il Wall Street Journal, il presidente della BuBa ha ricordato che il debito tedesco è molto alto e il paese deve fare i conti con un progressivo invecchiamento della popolazione che si rifletterà sulla crescita e sulle finanze pubbliche. Motivo per il quale sarebbe saggio se il governo federale non abbandonasse l’obiettivo del pareggio di bilancio. I moniti di Weidmann, che dal 2006 al 2011 è stato capo dipartimento Politica economica della cancelleria, sono tornati però soprattutto ad interessare la politica monetaria. Si ricordano in particolare le apocalittiche previsioni sull’acquisto da parte della Bce di crediti cartolarizzati (asset backed securities), che rappresenterebbe un trasferimento del rischio dalle banche commerciali alle Banche centrali e, in ultima istanza, ai contribuenti. Sui titoli pubblici, Weidmann ha ricordato che il loro acquisto sul mercato secondario non contraddice il mandato della Bce; ciò che è vietato è l’aggiramento della regola, come avvenuto, a suo dire, nel caso dell’Omt. Isolato all’Eurotower, Weidmann difende posizioni tipiche dell’ortodossia di scuola Bundesbank. In particolare, insiste sul principio dell’indipendenza della Banca centrale dalla politica governativa. Per garantire la stabilità dei prezzi nell’Eurozona, la Bce deve cioè essere libera da pressioni politiche che possano piegare le manovre sui tassi ad interessi elettorali di breve periodo. A questo proposito, Weidmann è giunto in passato persino a citare il “Faust” di Goethe, nella cui seconda parte Mefistofele risolve ogni problema di debito stampando moneta. Con Schäuble, Weidmann si affanna poi a ripetere che la politica monetaria da sola non può risolvere nulla ed è piuttosto compito degli stati membri risolvere i loro problemi di bilancio.

 

A chiamare Weidmann alla Bundesbank fu, nel 2004, Axel Weber, il banchiere centrale che nella primavera del 2011 lasciò il suo incarico in forte dissenso con la politica di acquisto dei titoli di stato, inaugurata dall’allora presidente della Bce, Jean-Claude Trichet. Il sodalizio con Weber nacque nel 2002, quando entrambi sedevano nel consiglio dei cosiddetti cinque saggi, il gruppo di esperti che dà raccomandazioni all’esecutivo in materia economica. Da una parte Axel Weber, dall’altra Angela Merkel. Per ora Weidmann ha interpretato il suo mandato, oscillando tra posizioni più ortodosse, vicine a quelle del suo primo mentore, e posizioni più concilianti, tipiche della sua ultima madrina. L’unica cosa che non farà mai, come lui stesso ha pubblicamente promesso, sarà dimettersi.