Matteo Renzi e Renato Brunetta (foto LaPresse)

Dolcetto o Brunetta?

Salvatore Merlo

Il destro e l’antropologa “de sinistra” se la godono alle spalle della Leopolda. Su La7 c’è una profia con otto cerchietti che sceglie Camusso e danna Renzi, un esagitato berlusconiano ride di gusto. Sembrano tutti un po’ Crozza.

Un televiandante che si fosse trovato a passare per caso martedì sera lungo le rive di La7, sponda Giovanni Floris, avrebbe assistito a uno spettacolo inconsueto. Un’avvolgente e coltivata antropologa di sinistra vecchia scuola, Amalia Signorelli, teorica dell’immaginario politico contemporaneo, con nero scialle a fiori su golfino rosso, lo stampo segreto e letale del professore di liceo che con la parola e la penna potrà demolire e creare partiti e movimenti, librarsi su complessi sistemi di pensiero e su civiltà millenarie (ma sempre con l’aria di chi, calata la sera, rientra in una casa dove ogni tavolo esibisce un centrino di pizzo regalato dalla zia), si effonde e diffonde davanti alle telecamere sulla differenza tra la Leopolda di Renzi e la piazza della Cgil. E lo fa ovviamente con un distacco siderale da Renzi, oggetto – un po’ repellente – dei suoi giudizi tagliati: da una parte dunque “il mito del successo”, che è “individualista, competitivo, aggressivo”, dall’altro invece il “mito del lavoro”, che è “conflittuale, collettivo, solidarista”.

 

Da una parte insomma il male, dall’altra il bene: qui Toro Seduto, lì il generale Custer, qui la politica solida, lì “la vacuità dei contenuti”, qui “il pensiero e l’ascolto”, lì “il movimento, l’azione, l’atto che non è buono in sé” perché tutto dipende da “cosa si fa”. Ecco. Fin qui tutto normale, si fa per dire. Se non fosse che a un certo punto s’ode un’ironica, sferzante voce fuori campo, che precisa: “Se… si fa. E Renzi non fa”. Allora l’immagine finalmente si allarga, e il regista di La7 rivela al pubblico Renato Brunetta seduto su una poltroncina. E’ proprio lui. Brunetta che ammicca contento, sorride soddisfatto, si gira verso la professoressa come per invitarla a continuare, a insistere, a infierire, o forse soltanto a restituire il sorriso, a riconoscere la comune bontà, l’affinità di pensiero consanguineo. Così tutta la scena, all’improvviso, appare incongrua, surreale: l’ex ministro thatcheriano (diciamo) del Cavaliere, cioè il castigatore di fannulloni, l’irrefrenabile installatore di tornelli, il frustatore di precari, l’implacabile regolatore di conti, il terrore dei sindacalisti, tira fuori un repertorio affilato di critiche a Renzi che sovrasta persino la professoressa Signorelli in uno strano, stranissimo abbraccio alla Cgil, d’altra parte lo aveva già detto, Brunetta: “Tra la stucchevole e radical chic Leopolda e la piazza di San Giovanni, come non stare con la piazza?”.

 

[**Video_box_2**]Occorre superare l’impressione immediata d’essere di fronte a un altro Maurizio Crozza, e poi anche l’impressione successiva d’essere in presenza di una mente annebbiata dalla stizza (“Renzi ci copia”, “ma io l’ho già inchiodato sui contenuti”, “è un riformatore del nulla”). Occorre insomma capire che cosa ci sia veramente dietro questa strana capriola da mandarino meccanico kubrickiano che a un certo punto, in trasmissione, nella foga, spinge l’ex ministro di Berlusconi a sacrificare sul tavolo della dialettica persino il sangue del suo sangue (“mio nipote Nicola”, dice, “è stato fregato dalla legge di stabilità di Renzi: non pagherà il 5 per cento forfettario d’Iva ma il 15”) per sentirsi rispondere da Anna Ascani del Pd, con la crudeltà dei suoi ventisette anni: “Studi un po’ meglio, perché non è così”. Occorre in definitiva capire perché la giornata di Brunetta che è, come la nostra, di ventiquattro ore, e come la nostra se ne va per un terzo nel sonno, se ne vada per i restanti due terzi nel suo nuovo lavoro a tempo pieno, cioè stare sempre in piedi sulla garitta per dedicarsi a Matteo Renzi sbattendo come una particella subatomica su tutti i muri: la riforma del Senato, il Jobs Act, l’abbassamento delle tasse, la legge elettorale, urlando: “Sono roba nostra”. Chissà.

 

E’ andata così anche martedì sera a La7. “Balle. State raccontando balle. Siete dei conta balle”. E per qualche minuto le percentuali, i numeri dell’Iva, quelli dell’Irpef, in più e in meno, sibilavano in tutte le direzioni, oscuravano lo schermo, impedivano a chiunque di capirci qualcosa, finché la giovane Ascani non ha ricordato a Brunetta il suo passato di ministro nel governo in cui i negoziati tra Berlusconi e Tremonti, tra sviluppo e austerità, andavano avanti in quel modo tortuoso, accanitamente dilatorio, in uso tra i principi della terra sin dai tempi di Sparta e Atene. Ko tecnico, e senza nemmeno l’antropologa a difendere il mandarino meccanico.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.