Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il partito di Renzi

Giuliano Ferrara

Veltroni battistrada, e noi mosche cocchiere. Ora via gli apparati. Se il presidente del Consiglio mantiene la rotta, il Pd come aggregato di correnti e culture di appartenenza sarà tra breve un ricordo.

Quando fece la sua Leopolda, chiamata “la bella politica”, gli demmo una mano, a Veltroni. Quando le correnti lo insignorirono primo segretario del Pd, per trovare uno sbocco alla crisi del governo Prodi, 2008, a noi berlusconiani interessati a una sinistra riformista, e al superamento del prodismo ulivista, sembrò una bella cosa. Poi ci inventammo la “vocazione maggioritaria” come chiave di volta bipolarista del nuovo partito, apprezzammo l’aplomb “renziano” di Walter inteso come W., che citava l’Arcinemico come “il principale esponente dello schieramento a noi avverso”, e infine li coinvolgemmo nella discussione sul superamento della forma-partito tradizionale (fate fund raising, ché quello è il contenuto militante, e per il resto via le tessere, l’appartenenza, gli apparati, il partito all’americana è pura rappresentanza, è scelta dei candidati e vita di eletti e ministri; e loro finsero di aver capito). Tutto finì tragicamente, mancava il rinnovamento generazionale, erano tutti ancora della vecchia scuola, Veltroni era benintenzionato e ottenne molti voti e un Parlamento a disposizione di accordi bipolari alla Nazareno, ma come al solito non ebbe coraggio, si consegnò a un caminetto di capicorrente, si consumò in una politica che non era bella e non era una politica, alfine si dimise.

 

Ci risiamo. Ora la vocazione maggioritaria del Pd ha basi forti, l’amalgama mal riuscito può diventare un partito elettorale all’americana, in parte lo è già. Bisognerà capire come si ricostruisce un’area di destra riformatrice, liberista e mercatista, e quale può essere il ruolo promotore di Berlusconi nell’operazione, oppure se l’operazione debba necessariamente passare per linee esterne, trovando una nuova leadership carismatica e credibile, che manca e non è alle viste neanche di lontano. Se Renzi mantiene la rotta, il Pd come aggregato di correnti e culture di appartenenza sarà tra breve un ricordo. Forse la cosa genererà rotture e ricollocazioni di personale politico, ma non ha torto Fassino, il sindaco di Torino, quando avverte che la fondazione di nuovi partiti è oggi quanto di più impopolare. Sta di fatto che sarebbe ridicolo discutere di tessere, ideologia e regole della casa in un partito che può avere una sola regola, cioè la volontà dei suoi elettori nella scelta di chi lo guida, di chi guida il governo, di chi entra nelle assemblee elettive. La riforma del partito, in attesa della realizzazione piena di tutte le altre, è virtualmente già cosa fatta: c’è da sperare che sia formalizzata presto e bene.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.