Matteo Renzi (Foto LaPresse)

Colpo duro alla fiction classista

Claudio Cerasa

Renzi ha sderenato la vecchia e ultra sindacalizzata sinistra italiana. Chi non lo ama sostiene che il passaggio choc sulla riforma del lavoro sia un punto di non ritorno e che la resa dei conti con il Rottamatore ci sarà nel momento in cui Renzi deciderà di sfruttare il consenso incassato grazie alla svolta sul lavoro.

Roma. Matteo Renzi ha sderenato la vecchia e ultra sindacalizzata sinistra italiana. Chi non ama Renzi sostiene che il passaggio choc sulla riforma del lavoro – con la direzione del Pd che vota a favore dell’abolizione parziale dell’articolo 18 e con i sindacati costretti a discutere con il premier solo a giochi fatti – sia un punto di non ritorno e lascia intendere che la resa dei conti con il Rottamatore non si manifesterà oggi o domani in Aula ma nel momento in cui Renzi deciderà (se lo deciderà) di sfruttare il consenso incassato in questi giorni grazie alla svolta sul lavoro (gli anti renziani sono convinti che il premier voglia votare presto). Chi sostiene  Renzi individua invece nella marginalizzazione della vecchia gauche a vocazione sindacale un punto di svolta cruciale, in cui per la prima volta la sinistra – regolarmente licenziata negli ultimi vent’anni dagli elettori per non aver avuto il coraggio di toccare il lavoro come avrebbe dovuto – prova a cestinare una tradizione storica idealmente identificata con i famosi fotogrammi del Circo Massimo cofferatiano. Già, ma con quali conseguenze? Sentite cosa dice al Foglio Giorgio Tonini, vicepresidente dei senatori del Pd, membro della segreteria renziana con deleghe sull’Europa.

 

“Credo – dice Tonini – che il passaggio sull’articolo 18 costituisca una rivoluzione per l’Italia ma anche per il Pd. Per l’Italia perché siamo a un passo dal cestinare un sistema insostenibile come quello attuale, che ha generato bassa produttività e bassa tutela sociale. Per la sinistra perché abbattere un totem come la difesa a spada tratta dell’articolo 18 e di un vecchio modo di intendere il lavoro avrà un doppio effetto: entusiasmare gli elettori e anche quell’Europa che ci chiede e ci suggerisce da anni di dotarci di un di mercato del lavoro più moderno e più efficiente”. Il fatto che il voto sul disegno di legge delega (strutturato come un maxi emendamento, non conterrà un riferimento esplicito alla normativa sui licenziamenti e delegherà al governo il compito di specificare con un decreto legislativo i termini della revisione dell’articolo 18) verrà votato oggi al Senato in concomitanza con la conferenza sul lavoro convocata a Milano dai capi di stato europei non è un caso. Le svolte sul lavoro sono da sempre i passepartout utilizzati dai paesi in difficoltà e in cerca di elasticità di fronte ai signori dell’inflessibilità (citazione mogheriniana), ed è ovvio che Renzi proverà a giocarsi la carta della “rivoluzione” sul jobs act in chiave europea sia per sostenere l’attivismo della Bce nel programma di acquisto di Abs (Asset backed securities) e di obbligazioni garantite sia per strappare alla Commissione un “sì” definitivo sul rinvio del pareggio di bilancio al 2017 (lo ha fatto il governo Rajoy, che nel 2013 ottenne una deroga sul 3 per cento dopo aver riformato il lavoro; lo sta facendo oggi la Francia di Valls, che ha ribadito due giorni fa a Londra che il suo paese, che oggi chiede di sforare ancora il deficit, è pronto a flessibilizzare il mercato del lavoro).

 

[**Video_box_2**]La portata del mutamento radicale impresso da Renzi all’identità della sinistra la si può constatare osservando la distanza abissale tra la sinistra depressa del Pd che continua a ripetere il Pd è morto, è morto, è morto, salvo poi promettere il voto sulla riforma che dovrebbe dunque decretare la fine del Pd, e il Renzi ringalluzzito che invita con ironia i sindacati a incontrarsi di nuovo il 27 ottobre, dopo “i tre milioni di persone che porterete in piazza”. L’ironia è presto spiegata: il 25 la Cgil ha indetto una manifestazione contro la riforma del lavoro e il presidente – che nello stesso giorno, coincidenze della vita, riceverà a Firenze il “popolo della Leopolda” – non crede che la piazza camussiana possa essere simile alla piazza cofferatiana e possa impensierire la piazza renziana. Renzi cerca la sfida. Continua a trarre forza dalla lontananza dalla sinistra sindacale classista. Gioca col conflitto. E punta su un concetto semplice: per creare una nuova sinistra occorre distruggere la vecchia sinistra. “Non credo – confida Tonini – che ci saranno scissioni. Ma se un governo riformista vuole agire in modo incisivo, come succede da sempre in tutta Europa, è evidente che deve tenere in conto che ci possa essere uno strappo, anche definitivo, con la sua sinistra critica”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.