Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il boy scout di ferro

Marco Valerio Lo Prete

Fiducia sul Jobs act, no perdite di tempo con le parti sociali, da fare c’è molto per il nuovo Thatcher. La Cgil e lo spauracchio Thatcher in Sala verde. Come si dice “tfr” in inglese.

Roma. Ai cittadini va restituita “la possibilità di scegliere” come spendere quanto hanno accantonato nel corso della vita lavorativa. “Non sono persone irresponsabili, ma persone responsabili”. Dopodiché è stato sufficiente che il governo avanzasse alcune proposte in linea con queste convinzioni perché gli oppositori gridassero sdegnati al “ritorno della liberista Margaret Thatcher”. E’ questo, in estrema sintesi, il dibattito italiano in corso sull’anticipo in busta paga del trattamento di fine rapporto (tfr), proposto dal governo Renzi e variamente avversato. Ed è esattamente quanto accaduto nei mesi scorsi pure nel Regno Unito. Il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, infatti, che intanto ieri ha deciso di apporre la fiducia sul ddl delega sulla riforma del lavoro, sembra voler ripercorrere – perlomeno su alcuni fronti – una strada assimilabile a quella battuta dal collega conservatore David Cameron: stesse argomentazioni da parte del governo, identiche reazioni.

 

Partiamo da Londra. I Tory inglesi, riuniti a Birmingham la scorsa settimana in vista del voto del 2015, hanno rilanciato le ragioni della “cura” somministrata al Regno Unito. Che è quella sintetizzata in maniera brillante sul Daily Mail dal columnist Alex Brummer (vedi articolo qui sotto): tagli di spesa graduali ma convinti (il rapporto deficit/pil è passato dall’11 per cento del 2009-’10 al 6 per cento), un corrispondente alleggerimento delle tasse a 360 gradi (per i redditi più alti e quelli più bassi, oltre che in maniera drastica per le imprese), e sostegno palese e generoso da parte della Bank of England. I risultati non mancano: quest’anno il pil inglese aumenterà di oltre 3 punti, più di ogni altro paese industrializzato; il tasso di disoccupazione è sceso al 6,2 per cento (in Italia è il doppio). Perfino la direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, che in passato aveva chiesto a Londra di diluire la politica di austerity, di recente ha ammesso: “Ci eravamo sbagliati”. Cameron, anche la scorsa settimana, ha ribadito che lo stato va snellito e che soltanto il settore privato può garantire un’ulteriore creazione di reddito e occupazione. Con questa convinzione, nei mesi scorsi, l’esecutivo inglese ha messo mano per esempio alla previdenza, con “la riforma più profonda della tassazione pensionistica dal 1921”, ha detto il cancelliere dello Scacchiere Osborne. Nel bilancio presentato a inizio anno, infatti, Londra ha annunciato la cancellazione dell’obbligo di destinare i risparmi pensionistici all’acquisto di polizze annuali. Chi ha aderito a fondi pensione integrativi, e nel Regno Unito sono oltre 13 milioni di persone, dal prossimo anno, a 55 anni, non sarà più obbligato a comprare strumenti finanziari per garantirsi una rendita per il resto della vita. Potrà ritirare la somma accumulata per destinarla a consumi o altro, godendo di una tassazione agevolata. Al solo annuncio, qualche mese fa, crollarono i titoli delle compagnie assicurative, per le quali lo schema obbligatorio consentiva discreti accantonamenti. Da sinistra venne l’accusa di voler incentivare atteggiamenti consumistici e poco lungimiranti. La risposta di Cameron fu che il perimetro del settore pubblico deve arretrare e che “le persone sono responsabili”. Adesso con Renzi sul tfr, Cameron ha un alleato in più.

 

Ieri il presidente del Consiglio italiano ha incontrato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per fare il punto sulla legge di stabilità da presentare in Parlamento. Allo studio c’è anche l’ipotesi di anticipare il tfr nella busta paga dei lavoratori a partire dal prossimo anno, idea che già oggi potrebbe essere presentata alle parti sociali convocate a Palazzo Chigi. Offrendo oggi al lavoratore la disponibilità di una somma che a legislazione vigente gli spetterebbe soltanto al termine del rapporto lavorativo, il governo punta a rimpinguare ulteriormente le buste paga, dopo lo sconto Irpef di 80 euro sui redditi più bassi già approvato. Di fronte alle molteplici opposizioni – arrivate da parte del sindacato, ma anche dagli industriali e dagli analisti che temono per i potenziali effetti sulle casse dell’Inps – il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, ha replicato che tutto sarà fatto “in modo che per la liquidità delle imprese risulti neutrale e per i lavoratori non aumenti il prelievo Irpef”.

 

[**Video_box_2**]Renzi, per il momento, preferisce utilizzare argomenti lineari: “La filosofia del tfr oggi è protettiva, i soldi arrivano alla fine – scriveva ieri il Corriere della Sera riportando un virgolettato del premier – Ma io la vedo diversamente. Un cittadino è un adulto consapevole, non può essere lo stato a decidere per lui”. La misura in discussione a Roma è ovviamente diversa da quella approvata a Londra: la prima non intende incidere (almeno direttamente) sul regime previdenziale. La filosofia di fondo, però, è la stessa. Spostare reddito dal futuro al presente è considerato da molti analisti un rischio eccessivo, da non correre nell’interesse degli stessi cittadini che potrebbero fare un cattivo uso dei soldi in questione e poi trovarsi con coperture troppo esili al momento del bisogno. Ma la stessa operazione non è considerata così rischiosa da chi nutre una fiducia di fondo nelle capacità di discernimento dei cittadini-contribuenti. Dare la possibilità a tutti di dirottare risorse dal proprio piano pensionistico ai consumi o a investimenti più remunerativi, nel Regno Unito, è considerata una “liberalizzazione” che potrà interessare ogni anno circa 420 mila persone. Questa misura, unita alla recente cancellazione della “death tax” (una superimposta di successione) e all’ipotesi lanciata ieri dal sindaco di Londra Boris Johnson di mobilitare i fondi pensione del settore pubblico per farne un “fondo sovrano”, ha spinto perfino la Bbc a chiedersi se Cameron non sia più thatcheriano della Thatcher.

 

Esagerazioni. Che ricordano certe iperboli retoriche utilizzate da Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che ieri è tornata a evocare anche lei la Lady di ferro per criticare il premier italiano. Oggi forse Camusso sceglierà di non presentarsi a Palazzo Chigi. Per il momento, dal Regno Unito, mutuiamo qualche aspetto del dibattito pubblico. Ci mancano ancora una razionalizzazione simile della Pubblica amministrazione, un alleggerimento comparabile delle tasse, e una Banca centrale altrettanto disinvolta. E non è poco.