Matteo Renzi (foto LaPresse)

Fuoco ai caminetti

Claudio Cerasa

Pratiche stantie. Colloqui negati. Pochi compromessi. Deleghe a Luha. Il premier e il metodo trekking. Non solo art. 18. Comunicazione, immagine, metodo, esempi. I compromessi al tempo di Renzi.

Roma. “Benissimo, ma digli di sentire Luha”. “Io non ci sono, ma digli di parlare con Luha”. “Non ne voglio sapere, ma digli di chiamare Luha”. “Con lui non ci parlo, ma digli di prendere un appuntamento con Luha”. “La Cei? Bene, ma digli di organizzarsi con Luha”. L’ultimo della lista a ricevere dall’entourage del presidente del Consiglio l’invito a discutere dei suoi problemi  con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Luha Lotti, è stato il capo della Cei Angelo Bagnasco che come molti altri aveva provato a fissare un appuntamento con il premier e che come molti altri ha capito che il suo destino sarebbe stato quello di dover incontrare direttamente il capo dell’entourage informale che coordina le attività di governo (un tempo era Graziano Delrio, ora è sempre di più l’ex capo di gabinetto del sindaco di Firenze, Luca Lotti, sottosegretario con delega all’Editoria e a tutto il Resto). La stessa sorte l’ha subita negli ultimi mesi il presidente della Rai Luigi Gubitosi, che Renzi non ha mai voluto incontrare. La stessa sorte l’ha subita negli ultimi mesi il segretario della Cgil, Susanna Camusso. E come loro molti altri.

 

Quello che però qui ci interessa approfondire non è tanto l’importanza di chiamarsi Luca a Palazzo Chigi ma è una delle dinamiche più interessanti che riguardano l’attività del governo Leopolda. Renzi, al di là del giudizio che si può dare sull’operato del suo esecutivo, ha scelto di muoversi sulla scena come il rottamatore non solo dei vecchi dinosauri della sinistra ma anche di alcuni e simbolici vecchi riti del governo. Uno in particolare è la politica del caminetto, intesa come pratica, “stantia” direbbe qualcuno, di lanciare grandi proclami dalle pagine dei giornali o dagli scranni del Parlamento sapendo perfettamente che tutto poi sarebbe stato deciso in un cupo caminetto di un qualche loft o in un qualche grazioso salottino nel centro di Roma.

 

[**Video_box_2**]La caratteristica di Renzi, il tempo dirà se questo è un limite o un punto di forza, è invece che il presidente comunica con tutti ma non parla quasi con nessuno: discute e si confronta con i ragazzi del suo giro, con i fiorentini puri (Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Francesco Bonifazi), con i fiorentini acquisiti (Lorenzo Guerini, Filippo Sensi), con i diversamente fiorentini (Graziano Delrio), ma parla, nel senso che dialoga, soltanto con loro e i ministri di peso: lasciando intendere che saranno poi altri a chiudere le varie mediazioni (ultimo caso: Sergio Chiamparino sulla riforma del lavoro). Il percorso di Renzi ha un senso, soprattutto mediatico, nella misura in cui riesce a far entrare nell’immaginario collettivo la parola “strappo” al posto della parola “patto”, riesce a far prevalere nella comunicazione la logica del trekking stile boy scout (e per un boy scout vero non c’è nulla di peggio che essere accusato di andare in giro con un grembiulino) alle parole inciucio e caminetto (e non è un caso che non esista un solo scatto accanto a Berlusconi nonostante Berlusconi sia in questo momento uno dei leader politicamente più vicini al presidente del Consiglio) e nella misura in cui riesce a far passare bene il messaggio che il presidente del Consiglio la sera preferisce una gricia con Lotti a una tartina con i poteri forti. Funziona, ma ovviamente con alcuni limiti.

 

 

Suggerisce al Foglio un parlamentare del Pd molto vicino al presidente del Consiglio, citando un famoso romanzo di Joseph Heller. “Con Renzi si vive un po’ come nel paradosso del ‘Comma 22’. Nel romanzo la regola paradossale era questa: ‘Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo’. Con Renzi funziona allo stesso modo. Matteo può fare compromessi. Per avere una vittoria politica glielo devi chiedere pubblicamente. Ma se glielo chiedi pubblicamente lui non te lo può concedere”. Il principio del Comma 22 in realtà vale più per le questioni interne al Pd che per quelle esterne al Pd (nonostante anche in questo caso la regola è quella di “parlarne hon Luha” o al massimo “hon Lorenzo”) ma anche in questo caso il metodo è sempre lo stesso: dare l’impressione di avere una propria idea slegata da vecchie ideologie politiche di sinistra, creare una serie di nemici (anche immaginari) che vorrebbero impedire al presidente del Consiglio la realizzazione di questa idea, rappresentare questi nemici come persone disposte a tutto (persino a scrivere editoriali) pur di fermare il moto irresistibile del presidente del Consiglio, promettere pubblicamente di non essere disposto a trattare con nessuno, suggerire ai giornali amici titoli perentori e ultimativi (“Non medio con nessuno”), mostrare la propria disponibilità allo strappo, alla rupture, salvo poi dire all’ultimo momento, a bassa voce, noi non abbiamo problemi, siamo pronti a discutere con tutti, persino a riaprire la sala verde di Palazzo Chigi per confrontarci con i sindacati (lo ha detto ieri in direzione), “ma non accettiamo veti”. E’ sempre lo stesso schema ma è uno schema che – nell’èra della disintermediazione; nell’èra della delegittimazione dei corpi intermedi; nell’èra in cui l’uomo solo al comando ha molti difetti ma ha la possibilità di parlare direttamente all’elettore – funziona bene nella nuova cornice in cui Renzi ha dimostrato di essere l’unico politico capace in qualche modo di galleggiare. Dire che il presidente del Consiglio non parli con i poteri che contano e deleghi tutto a qualcun altro è ovviamente una sciocchezza – perché di solito ciò che Renzi delega va classificato sotto il capitolo “rogne” e perché poi con i pezzi grossi Renzi ci parla eccome, e non solo via Whatsapp, e non solo ai matrimoni degli amici potenti (nota a margine: Renzi ha rilasciato un’intervista contro i poteri forti che lo vogliono fottere pochi minuti dopo aver partecipato a un matrimonio pieno zeppo di poteri non particolarmente deboli).

 

Il discorso è più sottile e riguarda un metodo che anche ieri Renzi ha messo in scena durante la direzione del Pd (dove il segretario, nascondendolo in una nuvola magica, ha lasciato intendere che su alcuni punti, vedi il licenziamento disciplinare, è disponibile a discutere con la minoranza, “ma senza veti”). Metodo, volendo allargare l’inquadratura della nostra cinepresa, riassunto con parole definitive dal regista David Fincher, che intervistato sul mensile di cinema francese Première, nel numero di settembre, ha spiegato un tratto della modernità che in un certo senso riguarda anche il metodo del presidente del Consiglio. “Je dis ça alors que, philosophiquement, j’ai toujours été contre l’idée du consensus. Aucune bonne décision n’a jamais eté prise a l’unanimité”. “Io dico che filosoficamente sono sempre stato contro l’idea del consenso. Nessuna decisione giusta è mai stata presa all’unanimità”. E in fondo la politica dell’anti caminetto, se volete, è tutta qui.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.