Ieri all’inaugurazione della Ipo di Alibaba le sue azioni sono schizzate a 92,70 dollari ciascuna. Se fosse stata una compagnia americana, sarebbe stata tra le prime per valore di mercato

Il coccodrillo Alibaba

Eugenio Cau

Il gigante cinese del tech ha fatto il botto a Wall Street. Storia di Jack Ma, il “predatore” che l’ha creato. Alibaba è un pezzo di miracolo cinese messo a disposizione dello speculatore americano, che si è rivelato famelico.

A un certo punto del video si vede Jack Ma davanti ai burocrati del Partito comunista cinese. E’ il 1995. Ma è in una sala d’aspetto, arriva un uomo con un completo grigio. Ma si alza, fa un lieve inchino, porge a due mani il suo biglietto da visita. Dice che vorrebbe “promuovere la Cina sulla ‘superstrada dell’informazione’”. E’ così che chiama internet, per cercare di farsi capire dal funzionario che risponde con uno sguardo senza espressione. Nella stanza c’è un uomo con una tuta di acetato, che fuma guardando a terra. La scena si sposta, Ma è davanti a un computer e mostra ai due uomini del Partito, quello con il completo grigio e quello con la tuta di acetato, il sito che ha appena fondato, China Pages. Spiega che ancora “non c’è niente della Cina su internet”, che “possiamo fare meglio degli americani”. I due burocrati lo guardano, annuiscono, non hanno idea di cosa Jack Ma stia dicendo. Cambia la scena, Ma parla dei suoi progetti digitali a un altro funzionario. Dice che ha già tutto pronto, ma le pagine del suo sito sono bianche, ha bisogno dell’approvazione del governo. “Deve prendere un appuntamento”, gli risponde il burocrate. “E’ la procedura dell’ufficio. Se non prende un appuntamento, è difficile darle una risposta adeguata”. Jack Ma chiuderà China Pages pochi mesi dopo. Quando ci riproverà, dopo qualche mese asfissiante come tecnico in un ufficio del ministero del Commercio, fonderà il sito di e-commerce Alibaba.com. A partire da oggi, Alibaba è la più grande compagnia tecnologica di Cina. A partire da oggi, Jack Ma vale almeno 17 miliardi di dollari.

 

Ieri Alibaba ha fatto probabilmente il più grande debutto in Borsa della storia americana. La sua Ipo (Offerta pubblica iniziale) allo Stock Exchange di New York era stata fissata giovedì a 68 dollari per azione, che avrebbero portato il valore della Ipo a 21,8 miliardi di dollari e il valore di mercato della compagnia a 168 miliardi, più di Facebook e più di Amazon. Nelle scorse settimane Jack Ma ha fatto un tour trionfale in America e in Asia per presentare l’azienda, ma non c’era davvero bisogno di presentazioni. E’ da maggio, da quando Alibaba ha annunciato la sua Ipo, che gli investitori stanno salivando. Alibaba, che al contrario di molti suoi concorrenti nella Silicon Valley fa profitti da anni, è un pezzo di miracolo cinese messo a disposizione dello speculatore americano, che si è rivelato famelico. Le prenotazioni per le azioni di Alibaba sono esaurite nei primi giorni del tour, Jack Ma ha alzato il prezzo delle azioni da un limite minimo di 60 dollari a 68. Poi ieri si sono aperte le contrattazioni e il titolo di Alibaba è volato. Le azioni della compagnia hanno aperto a 92,70 dollari ciascuna, il valore di mercato è schizzato a circa 230 miliardi. Prima che Wall Street chiudesse, Alibaba valeva più di giganti come Coca Cola, Procter & Gamble, Pfizer, e si avvicinava alla quotazione di Walmart. A un certo punto, il Wall Street Journal ha calcolato che se Alibaba fosse stata americana, sarebbe stata una delle dieci più grandi società del paese per valore. Grazie alla Ipo Alibaba ha ottenuto oltre 8 miliardi di dollari.

 

La ragione per cui gli investitori sono impazziti per Alibaba è che le sue possibilità di crescita sono quasi infinite. Il mercato di internet in Cina è il più grande del mondo, e considerando che solo la metà dei cinesi è online, le previsioni di espansione sono enormi. Jack Ma ha saputo approfittarne. Secondo il sito Quartz, servono 18 diverse compagnie americane per coprire tutte le attività in cui l’Alibaba Group è attivo. Alibaba.com è un sito di e-commerce simile ad Amazon, che però collega tra loro le aziende, produttore e distributore. Taobao è simile a eBay, Alipay è simile a Paypal, Kanbox è simile a Dropbox, Weibo assomiglia a Twitter, ed è uno dei social network più diffusi di tutta la Cina, Xiami fa musica in streaming come Spotify e così via.

 

[**Video_box_2**]Una volta Jack Ma ha detto che Alibaba era come “un coccodrillo nel fiume Yangtze”. Erano gli anni della battaglia feroce contro eBay per la conquista del mercato cinese. “EBay è come uno squalo nell’oceano”, disse. “Noi siamo un coccodrillo nel fiume Yangtze. Se combattiamo nell’oceano perderemo. Ma se combattiamo nel fiume, vinceremo”. Porter Erisman, allora, era uno dei vicepresidenti dell’azienda. Americano, laurea a Stanford, Erisman è entrato in Alibaba nel 2000, pochi mesi prima che la bolla della Silicon Valley scoppiasse e gettasse Alibaba nella crisi. Ne è uscito nel 2009, pochi mesi dopo la prima Ipo trionfale alla Borsa di Hong Kong, che era sembrata un punto di arrivo ma che in realtà era solo l’inizio (Alibaba ha poi ricomprato le sue azioni, si è ritirata dal listino di Hong Kong e ha fatto la sua Ipo alla Borsa di New York). Dopo Alibaba, Erisman si è trasformato in regista. Aveva voglia di nuovi progetti, e un’opportunità unica. Per qualche ragione durante tutti i periodi della vita di Jack Ma e di Alibaba, nei momenti formali e in quelli intimi, negli uffici durante le riunioni e nei corridoi durante i momenti di svago, c’era sempre qualcuno con la telecamera che filmava. Negli archivi di Alibaba, e negli archivi personali di decine di dipendenti della compagnia, c’è la storia di Jack Ma e del suo successo, dai momenti di esaltazione ai colloqui con i burocrati del Partito comunista. Erisman ha preso questo materiale, oltre 200 ore di filmati spesso inediti girati da 35 persone diverse, e l’ha messo insieme in un documentario, “Crocodile in the Yangtze”, che è la storia migliore di Ma e di Alibaba realizzata finora. “Crocodile in the Yangtze” ha iniziato a girare per i festival nel 2012, ha vinto molti premi, ma è diventato disponibile a pagamento solo questa primavera sul sito vimeo.com.

 

Alcune delle cose raccontate in “Crocodile in the Yangtze” sono conosciute. Dell’infanzia di Jack Ma, per esempio, si conoscono numerosi particolari. Si sa che era un bambino gracile, precoce. Quando aveva 10 anni, e tutti a Hangzhou lo chiamavano Ma You, il suo nome cinese, prendeva la bicicletta ogni giorno e pedalava per 40 minuti fino a un hotel nel distretto ovest della città. Voleva parlare in inglese con i turisti stranieri. Cercava di fare amicizia con i figli dei clienti dell’hotel, imparare la lingua a tutti i costi. Erano gli ultimi anni della Rivoluzione culturale, le aperture economiche di Deng Xiaoping erano lontane. Ma era così negato in matematica che fallì l’ammissione all’università per due volte. Al terzo tentativo entrò in una scuola per insegnanti, la peggiore università della città, divenne maestro d’inglese, iniziò a lavorare per un istituto tecnico di Hangzhou. In “Crocodile” lo si vede mentre scrive alla lavagna davanti a una classe di sole ragazze che ridono, per qualche ragione c’era una telecamera anche lì. Nel 1995 Ma fece il suo primo viaggio in America, ospite di una famiglia di Seattle, e conobbe internet. E’ un aneddoto che Ma ama raccontare. “Un mio amico mi disse: ‘Jack, questo è internet. Puoi trovare qualsiasi cosa cerchi in internet’. Io dissi: ‘Davvero?’, e cercai la parola ‘birra’. Trovai birre americane, birre tedesche, ma nessuna birra cinese. Così cercai ‘Cina’, ma non c’era ‘Cina’, non c’erano informazioni”. Una cosa che si capisce dalla storia di Jack Ma è che quella di Alibaba, più di quella di Google, più di quella di Amazon, più di quella di quasi tutti gli altri competitor americani, è una storia di pionieri. “Jack non è stato il primo imprenditore di internet ad avere successo in Cina”, dice Porter Erisman, il regista ed ex vicedirettore di Alibaba, in una conversazione via e-mail con il Foglio. “Il suo successo, inoltre, è arrivato dopo molti tentativi. Ma io lo chiamo il pifferaio magico dell’e-commerce in Cina. Ha viaggiato per il paese e ha convinto gli imprenditori ad andare online, ha spinto la Cina nell’èra di internet”.

 

Ripercorrere la storia di Alibaba significa ripercorrere la storia di internet in Cina, una storia che inizia con una ricerca senza risultati. Al tempo del viaggio a Seattle e della scoperta di internet, Ma aveva messo su una piccola compagnia di traduzioni. La abbandona per creare il sito China Pages, una versione cinese delle Pagine gialle. Un anno dopo, China Pages è assorbito a forza da China Telecom. Ma abbandona China Pages, per 14 mesi lavora al sito internet del ministero del Commercio, poi decide di riprovarci. La storia dei primi mesi di Alibaba, fondata il 21 febbraio del 1999, è la versione cinese di Bill Gates e Steve Jobs chiusi nei loro garage, con trent’anni di ritardo. Ma raduna nel suo appartamento di Hangzhou 17 amici che si trasferiscono ad abitare da lui. Hanno qualche computer, quasi nessuno ha una preparazione specifica. Ma è un ex insegnante, molti dei suoi amici sono impiegati, commessi. C’era una telecamera anche lì, ovviamente, e in “Crocodile” si vede il primo grande discorso “inspirational” di Jack Ma, fatto dal tinello di casa sua, con i suoi amici seduti sul divano. “I nostri competitor non sono in Cina, ma nella Silicon Valley americana”, dice. “I nostri cervelli sono buoni quanto i loro”. Alibaba si fa conoscere abbastanza in fretta, nel giro di poco una manager di Goldman Sachs si presenta all’appartamento di Jack Ma per valutare la possibilità di finanziare il progetto. “Lavoravano ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette”, dirà a David Barboza in un articolo apparso questo mese sul New York Times. “Quel posto puzzava, con tutti quei cartocci di noodle istantanei”. Jack Ma però ha un carisma speciale, e un mese dopo Goldman Sachs investe 5 milioni di dollari in Alibaba. Poco dopo, la giapponese SoftBank investe nella compagnia venti milioni di dollari. Alibaba può spostarsi in un vero ufficio, e i media internazionali iniziano a parlare di “Crazy Jack”, di quest’uomo cinese piccolo e magrissimo che ride sguaiatamente, e che per fare pubblicità alla sua azienda non esita a indossare costumi folli, a improvvisare scenette, a cantare. Molti anni dopo, durante la festa oceanica per il decimo anniversario di Alibaba, Ma si presenterà al pubblico con un costume da rocker anni 80 e una cresta enorme sulla testa. “E’ buffo, chi è fuori dalla compagnia tende a concentrarsi su quel 5 per cento di Jack che è differente, e lo chiama pazzo”, dice Erisman al Foglio. “Per la maggior parte del tempo Jack è un leader carismatico, molto deciso e con un gran senso dell’umorismo”. Erisman entra in Alibaba nel marzo del 2000, nei giorni in cui lo staff si sta trasferendo dall’appartamento di Jack al nuovo grande ufficio di Hangzhou comprato con i finanziamenti di Goldman e di SoftBank. C’è entusiasmo, sono appena stati assunti cento nuovi dipendenti, Erisman mostra i video delle feste organizzate dalla compagnia e delle sessioni immancabili di karaoke. Gli occidentali dentro ad Alibaba, come in tutte le compagnie asiatiche, sanno che non importa quanto timidi o stonati siano, per fare carriera dovranno fare moltissimo karaoke. L’entusiasmo finisce subito, però. In quei mesi scoppia la bolla di internet in America. Il Nasdaq crolla, centinaia di compagnie falliscono, Jack Ma rischia di perdere tutto.

 

Quella di Alibaba è una storia di pionieri, e quindi di crisi e sconfitte e sfide. Dopo lo scoppio della bolla di internet ci sarà il tentativo fallito di aprire una sede nella Silicon Valley, poi la Sars. La pandemia infetta uno dei dipendenti di Alibaba, tutta la sede della compagnia è evacuata, i dipendenti sono costretti a rimanere chiusi nelle loro case per settimane, alcuni si portano a casa i computer per continuare a lavorare da lì. E’ durante la crisi della Sars, con gli uffici chiusi e Alibaba sull’orlo del fallimento, che Jack Ma pianifica il suo progetto più ambizioso fino a quel momento, fare concorrenza diretta a eBay, che aveva da poco fatto il suo ingresso in Cina e che per esperienza, disponibilità finanziaria e capacità di marketing surclassava Alibaba. Ma lavora con un team ristretto per lanciare Taobao, un sito che come eBay permette ai privati e alle imprese di mettere all’asta i loro prodotti. Per il lancio fa mettere ai suoi impiegati divise militari e fucili finti, e organizza un grande “war game” in un parco pubblico di Hangzhou per dichiarare guerra a eBay. Taobao ha un vantaggio fondamentale: al contrario di eBay, fare inserzioni sul suo sito è gratis. Alibaba investe in Taobao somme enormi a fondo perduto, Jack Ma dice che internet in Cina è ancora troppo poco sviluppato per far pagare gli utenti, e ha ragione. Nel 2005 le quote di mercato di Taobao iniziano a salire e quelle di eBay a scendere. Quando Jerry Yang, uno dei fondatori di Yahoo, originario di Taiwan, decide di investire un miliardo di dollari in Alibaba, la partita è decisa. Quella mossa sarà la più azzeccata della storia di Yahoo. Da anni la compagnia, in crisi di visite e ricavi, si aggrappa alla sua partnership con Alibaba per rimanere a galla e tenere i bilanci in pari (e adesso che un accordo tra le due aziende costringe Yahoo a vendere parte delle sue azioni nella Ipo, per la ceo Marissa Mayer arrivano i tempi difficili). Per eBay, il miliardo di Yahoo significa la fine della partita. Nel giro di poco eBay si ritira dalla Cina.

 

Un’altra delle ragioni del successo di Alibaba su eBay è la comprensione del mercato cinese. Taobao è uno spazio pensato per l’utente cinese, e questo significa aggiungere elementi che a un utente occidentale sembrano impropri o ridicoli. Taobao è pieno di piccole mascotte, pupazzetti, disegnini. Ha sviluppato delle chat e degli strumenti per socializzare e fare amicizia, che in un sito di e-commerce sembrano inutili. Tra i colori accesi e le icone arrotondate, Taobao è infantile e sdolcinato quanto eBay è professionale. Questo risponde ad alcuni elementi della cultura cinese che i manager occidentali non capiscono. In Cina, per esempio, sviluppare una relazione personale è essenziale per fare affari. “Il lato umano dell’e-commerce è molto importante in Cina”, dice Erisman al Foglio. “Per questa ragione abbiamo inserito una chat in Taobao e incoraggiato le connessioni sociali.

 

Taobao era come una combinazione di Facebook ed eBay”. Ma questa è anche la via cinese all’internet, che soprattutto a metà degli anni Zero era ingenua e desiderosa di contatto umano: “Per gli utenti in Cina, eBay sembra troppo statico e minimale. Gli utenti si sono spostati su Taobao perché sembrava più umano”. La via cinese all’internet a volte è naïf in maniere che all’occidente sembrano ridicole. “Crocodile” mostra il video di un evento promozionale di Taobao in cui due cantanti cinesi si tengono la mano e cantano frasi come: “Il sorriso di Taobao crea miracoli tutti i giorni (…), nuovi legami riducono le distanze tra noi, non posso smettere di amarti sempre di più. Taobao.com ci mette in connessione e crea una vita felice”. E’ la storia del coccodrillo e dello squalo: Alibaba ha sempre saputo sfruttare la sua superiorità nel comprendere il mercato cinese. Anche in questi giorni in cui la sua nuova Ipo è diventata un caso globale, il management ha continuato a dire che l’obiettivo principale di Alibaba è il mercato cinese. “In base alla mia esperienza, descriverei Alibaba come una ‘start-up della Silicon Valley con un tocco cinese’, dice Erisman. Gli imprenditori cinesi si muovono in maniera diversa, rispondono ad altri istinti, valutano esigenze di mercato differenti, che spesso gli occidentali non capiscono. Molti dei guai delle compagnie occidentali in Cina derivano dai capricci e dalle trame della burocrazia del Partito comunista, ma anche da queste incomprensioni. “Le compagnie tecnologiche cinesi tendono a muoversi ancora più velocemente delle loro controparti nella Silicon Valley e sono più disposte a fare errori e poi a spostarsi in nuove direzioni”, dice Erisman. “La cultura della compagnia riflette la cultura locale. Benché Alibaba abbia la stessa cultura societaria veloce e innovativa delle start-up della Silicon Valley, tende a concentrarsi molto di più sul gruppo, mentre le compagnie occidentali sono più individualiste. Quando ero ad Alibaba a volte sembrava di essere in famiglia, si organizzavano un sacco di uscite di gruppo e di eventi per socializzare”, karaoke compreso.

 

Ma il “tocco cinese” di Alibaba significa anche imparare a fare i conti con il regime del Partito comunista. L’incertezza sull’andamento della politica cinese è una delle incognite che Alibaba segnala nella documentazione consegnata alla Borsa di New York. Un’inchiesta del New York Times quest’estate ha rivelato che dopo un’operazione societaria del 2012 moltissimi “princelings”, figli dei grandi capi del Partito comunista, sono diventati finanziatori della società attraverso le loro aziende. Alibaba ha anche finanziato nel tempo molti eventi legati alla propaganda del Partito. Nei primi tempi della partnership con Yahoo i media occidentali accusarono la compagnia americana di aver concesso al governo di Pechino i dati personali di alcuni dissidenti cinesi, e di aver contribuito alla loro condanna. Quando un giornalista chiede a Jack Ma se avrebbe fatto lo stesso, lui risponde sì, deciso. “Alibaba opera in Cina e deve rispettare le leggi cinesi. Se potessimo cambiare le leggi lo faremmo, ma visto che non possiamo le dobbiamo rispettare”. Jack Ma sa che avere a che fare con il regime burocratico di Pechino è pericoloso, e per presentare la sua Ipo a New York si è assunto rischi che potrebbero ricadere sugli investitori. Il primo è che le azioni che ieri sono andate a ruba non appartengono ad Alibaba, ma alla Alibaba Group Holding Limited, una affiliata con sede alle Cayman. In Cina gli investimenti stranieri in alcuni settori strategici come internet sono vietati, e questo escamotage (si chiama Vie, Variable interest entity), è molto usato dalle aziende cinesi, ma presenta dei rischi per il management e per gli investitori, che non hanno vero controllo sull’azienda primaria. Anche la questione del controllo è controversa. Ma ha organizzato la struttura della società in maniera tale da averne un dominio quasi completo. A gestire Alibaba, anche dopo la Ipo, sarà un gruppo di 27 persone la cui identità è diventata pubblica solo pochi mesi fa. Sono i “Lakeside Partners”, dal nome dell’appartamento di Hangzhou in cui tutto è iniziato. Dentro ai Lakeside Partner esiste un sottogruppo di cinque persone, tra cui Ma, che decide le nomine dentro al gruppo dirigente. Nel 2011 Jack Ma ha staccato il servizio di pagamento online Alipay dall’Alibaba Group per spostarlo in una compagnia privata sotto il suo controllo senza avvertire il board e i partner stranieri. “Il fatto che Jack e gli altri partner vogliano avere più controllo sulla compagnia degli azionisti ordinari non è differente da quello che succede in Google e in Facebook”, dice Erisman al Foglio. “Forse il fatto che Alibaba è una compagnia cinese modifica il livello di percezione. Jack e il suo team vogliono proteggere la crescita a lungo termine di Alibaba”.

 

Erisman vede in maniera positiva le manovre di controllo di Ma e le mosse di Alibaba davanti al governo: “La mia opinione è che questo sia un modo creativo di sostenere il sistema di e-commerce di Alibaba fino a che la Cina non avrà ulteriormente aperto il suo sistema di commercio online”. La storia di Alibaba è la storia di internet in Cina. Una storia di pionieri e, non da ieri, una storia di repressione. Jack Ma sembra aver trovato il modo di rimanere in equilibrio tra le opportunità e il regime, e chi lo conosce, come Erisman, dice che è riuscito a farlo senza perdere la sua anima. A partire da ieri Alibaba è una società pubblica quotata alla Borsa di New York, il momento di dimostrare che il suo tocco cinese non la distruggerà è appena arrivato.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.