Mariano Rajoy (foto LaPresse)

La buona legge sull'aborto della Spagna ridotta a “cagada”

Giulio Meotti

Una lince è più protetta di un bambino non nato. Così magistrati, Femen, piazze, cattolici adulti, aggressioni, sondaggi e la Ue hanno convinto il governo conservatore di Rajoy a rinviare la norma protettiva sull’interruzione di gravidanza. Lo stop all’eugenetica era già saltato prima di arrivare in Parlamento

Roma. Era un progetto di legge ambizioso, fin dal nome. “Ley de Protección de la Vida del Concebido y los Derechos de la embarazada”. Legge di protezione dei diritti del concepito e della donna incinta. Un anno fa il ministro della Giustizia, Alberto Ruiz-Gallardón, aveva annunciato così la legge più restrittiva d’Europa sull’aborto: “La vita è un diritto inalienabile”. Si intendeva consentire l’interruzione di gravidanza solo in caso di stupro o di reale pericolo per la salute psicofisica della madre. Vietato l’aborto dopo la 14esima settimana.

 

Solo che quella legge potrebbe già essere morta prima di nascere. El Mundo, e altri quotidiani spagnoli, hanno scritto ieri che il governo di Mariano Rajoy intende ritirare la legge. Alcuni esponenti del partito di maggioranza e del governo fanno sapere che “la legge non raggiungerà neanche il Parlamento”. Gallardón a inizio settembre aveva promesso che nulla lo avrebbe fermato: “Gli insulti non mi faranno abbandonare l’impegno di regolare i diritti delle donne e dei nascituri”. Ieri Gallardòn ha però fatto sapere che la legge è “rinviata”. Ma che lui è pronto a dimettersi se l’aborto uscirà dall’agenda del governo: “Abbiamo fatto qualcosa senza precedenti negli ultimi decenni in Europa: rompere il mito della presunta superiorità morale della sinistra”, aveva scritto il ministro della Giustizia.

 

Furiosi i pro life alle notizie del ripensamento dell’esecutivo. Benigno Blanco, presidente del Forum delle famiglie di Spagna, annuncia che non voterà più i popolari se dovessero ritirare quella legge. Di “tradimento” parla la ong antiabortista Derecho a vivir. Domenica prossima ci sarà una “marcia della vita” per protestare contro la decisione del governo. Il presidente della Commissione per la disabilità, Lourdes Mendez, ha detto che è “difficile credere” che il governo invertirà la decisione presa un anno fa, perché l’aborto è “una questione centrale” per il partito.

 

Ma anche se dovesse procedere in Parlamento, Gallardòn ha già dovuto snaturare il progetto originario. L’aborto eugenetico non compariva già più fra le proibizioni. Il progetto originario vietava l’aborto per motivi eugenetici, in caso di malformazioni del non nato e l’interruzione della gravidanza sarebbe stata legale soltanto se la malformazione è “incompatibile con la vita”. La sindrome di Down, ad esempio, non rientrava fra queste. Così come l’emofilia, anomalia assolutamente compatibile con la vita. “I disabili devono avere esattamente gli stessi diritti del resto degli spagnoli”, aveva detto Gallardón. Secondo il giornale La Razon, “la nuova legge salverà ogni anno 3.590 bambini”.

 

Questa la nuova versione della legge: “Gravi anomalie fetali, anche se compatibili con la vita, saranno un motivo legale per l’aborto”. Nei giorni scorsi, per sostenere l’iniziativa del governo in materia, era intervenuto l’arcivescovo di Alcalà de Henares (Madrid), Antonio Reig Pla, secondo cui l’aborto è “un olocausto silenzioso”, che dal 1985, anno in cui è stata depenalizzata l’interruzione volontaria di gravidanza in Spagna, “ha provocato due milioni di aborti, più vittime della Guerra civile spagnola”.

 

Resterà il “paradiso degli aborti” Ma il governo Rajoy ha perso la battaglia dell’opinione pubblica. Le strade delle città spagnole si sono riempite più volte a difesa della precedente legge lassista del governo socialista di Zapatero, mentre anche i magistrati nei giorni scorsi sono intervenuti contro Gallardòn.

 

Il Consejo General del Poder Judicial, il Csm spagnolo, ha approvato un rapporto non vincolante sul progetto di riforma dell’aborto, in cui si chiede di depenalizzarlo in caso di malformazione del feto. Le associazioni civiche riunite nella piattaforma “Decidir nos hace libres” (Decidere ci rende liberi) hanno raccolto centinaia di migliaia di firme a sostegno dell’aborto. Amnesty [**Video_box_2**]International aveva elaborato un documento di denuncia della legge Gallardòn, mentre attiviste di Femen lanciavano, al grido di “l’aborto è sacro”, indumenti intimi contro l’arcivescovo di Madrid, cardinale Antonio Maria Rouco Varela, mentre stava per celebrare messa. Anche nelle università l’intimidazione aveva da tempo preso piede. All’Università Complutense, attivisti pro choice hanno aggredito al grido di “ti spacco la testa” alcuni studenti che distribuivano volantini con scritto “Es bueno que tú existas” (“è una cosa buona che tu esista”). Intanto, Birgitta Ohlsson, ministro per gli Affari europei, definiva “vergognosa” l’eventuale approvazione della legge Gallardòn.

 

Due giorni fa, alcuni deputati colleghi di partito di Gallardòn avevano definito il suo progetto di legge una “cagada”. Sondaggi parlano dell’ottanta per cento della popolazione contraria alle restrizioni. Celia Villalobos, importante rappresentante dei popolari e vice presidente del Parlamento ha attaccato la legge così: “Non siamo più nel 1985. Siamo nel 2014”.

 

Uno studio interno del Partito popolare biasima la legge sull’aborto per lo scarso rendimento elettorale del partito. Il presidente della giunta galiziana, Alberto Núñez Feijoo, non aveva esitato a parlare contro la riforma, nonostante le sfumature del nuovo testo che Gallardón avrebbe portato in Consiglio dei ministri.

 

La Spagna sembra dunque destinata a rimanere, nelle parole del presidente dell’associazione E-cristians, Josep Mirò, “il paradiso degli aborti”. L’interruzione di gravidanza è “la prima causa di morte” nel paese. Nel 1998 gli aborti erano 54 mila. Nel 2012 sono stati 118 mila. Un aumento del cento per cento in dieci anni. Così Madrid è diventato il terzo paese europeo per numero di aborti, dopo Francia e Inghilterra, ma il primo in relazione agli abitanti. Un paese in cui “una lince è più protetta di una vita umana”, come recitava un vecchio manifesto pro life.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.