Filippo Inzaghi dà indicazioni alla squadra durante Parma-Milan 4-5 (foto LaPresse)

Serenità e follia, così l'Inzaghi allenatore fa di nuovo sorridere il Cav.

Sandro Bocchio

Il segnale era arrivato – non a caso – da Silvio Berlusconi. Da anni non si assisteva a un presenzialismo simile a Milanello, facendo sorgere il sospetto che il presidente fosse stato il primo a capire come le gioie sarebbero giunte dal pallone. Inaspettate.

Il segnale era arrivato – non a caso – da Silvio Berlusconi. Da anni non si assisteva a un presenzialismo simile a Milanello, facendo sorgere il sospetto che il presidente fosse stato il primo a capire come le gioie sarebbero giunte dal pallone. Inaspettate. Come inaspettata era stata l'assoluzione per il caso Ruby, passaggio non banale nella personale e tormentata storia giudiziaria, divenuta improvvisamente altra fonte imprevista di soddisfazione. Altro che le sofferenze quotidiane di un partito non più monolitico come Forza Italia. Il Milan, a dire il vero, non prometteva meglio di deputati e senatori. Un pianto la stagione scorsa, una delle più buie dell'epopea berlusconiana con allenatori rigettati (Allegri) e rinnegati (Seedorf). Poi affannato in estate, l'ennesima trascorsa tra ingressi a parametro zero e vendite sottocosto, come quella del mai sopportato Balotelli al Liverpool.

 

Però Berlusconi sapeva in cuor suo di aver azzeccato la scelta in panchina. Perché Filippo Inzaghi aveva sempre trovato un posto nel suo cuore, fin da quando lo aveva acquistato da una Juventus in cui la convivenza con Del Piero stava sfociando nell'insofferenza. Non solo perché da giocatore aveva contribuito ai migliori anni della gestione Ancelotti: due scudetti e due Champions, su tutte quella del 2007, con la doppietta di Atene al Liverpool, a cancellare (parzialmente) la beffa di Istanbul. Ma perché – come persona e come professionista – il centravanti aveva sempre incarnato la quintessenza rossonera. Dedizione alla maglia e serietà nella condotta personale, in cui la pasta in bianco e i piatti di bresaola da compagni della quotidianità si erano trasfigurati in leggenda. Qualità cui aggiungere una feroce determinazione personale nel voler scollinare ogni ostacolo, rimasta intatta anche dopo aver trascorso vent'anni a cercare di fregare un avversario sul perenne filo del fuorigioco o a punire la disattenzione altrui in area. Fino a passare sul cadavere di un compagno, pur di metterla dentro per primo.

 

Berlusconi aveva intuito che l'Inzaghi allenatore non sarebbe stato dissimile dal giocatore. Per questo Adriano Galliani l'aveva immediatamente inserito nel vivaio, una volta conclusa la carriera due anni fa. Una sola stagione con gli Allievi e subito a parlare di lui come futuro tecnico rossonero. Il tutto per l'insofferenza di Allegri, insofferenza diventata ostilità al passaggio di Inzaghi alla Primavera e con il tecnico ad avvertire ancor più l'ombra lunga del rivale su di lui, fino a polemizzare platealmente: mai visto al Milan. Ma il tempo di prendere la prima squadra non era ancora giunto, nemmeno quando Sergio Squinzi aveva bussato alle porte rossonere per portarlo al Sassuolo in crisi. Nemmeno quando il matrimonio con Allegri si era tristemente frantumato: la scelta era caduta su Seedorf, cui sarebbero bastati pochi giorni per inimicarsi l'ambiente tutto e riposizionare il radar su Inzaghi. Una scelta di quelle che ha sempre amato Berlusconi, spiazzante nel calcio come sarebbe stato in politica. Basti ricordare lo sconosciuto Arrigo Sacchi pescato al Parma e Fabio Capello tirato fuori dal management Fininvest, vincitori di scudetto al debutto come lo sarebbero stati poi Zaccheroni e Allegri.

 

[**Video_box_2**]In estate appariva una follia chiedere una cosa simile a Inzaghi, con una squadra ancora ferita da un campionato fallimentare e con un mercato al risparmio. Ancor più se si andava a vedere i risultati di amichevoli utili a raccogliere soldi ma non gloria, con le tre reti incassate dall'Olympiacos e le cinque del Manchester City. Ma Inzaghi sgobbava, limava, dispensava. Serenità, innanzitutto, quella smarrita con Seedorf. E poi una rinnovata cultura del lavoro, con la pazienza di seminare per il futuro, tanto meglio se immediato. Due giornate sono troppo poche per per dire se Berlusconi abbia vinto un altro azzardo, ma il Milan a punteggio pieno è un protagonista che nessuno si sarebbe atteso e che sarà messo alla prova già sabato, dalla Juventus e da Allegri. Un ruolo reso possibile da una squadra che vuole tornare padrona del gioco, sia pure con un pizzico di follia: solo così si possono spiegare partite come quelle con la Lazio e, soprattutto, Parma. Ma è uno spettacolo che in casa rossonera avevano dimenticato da tempo, Berlusconi per primo. Ci voleva uno come Inzaghi per farlo innamorare nuovamente della creatura a lui più cara. E per riportarlo a Milanello

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