Matteo Renzi (foto Ap)

Sinistra ammanettata

Guido Vitiello

Il garantismo ci sarebbe pure, è che mancano i garantisti: socialisti, radicali, libertari. La sinistra avrebbe smarrito l’ispirazione garantista trasformandosi in una cinghia di trasmissione della magistratura associata, o in una tifoseria dei pubblici ministeri

Con un acquario si può fare una zuppa di pesce, più difficile è trasformare una zuppa di pesce in un acquario. La battuta che circolava ai tempi del crollo del Muro, a sottolineare l’irreversibilità dei disastri fatti dal comunismo, si presta bene anche ai danni di un ventennio di intossicazione forcaiola. Da più parti si è detto, in questi giorni, che il nuovo gruppo dirigente renziano deve dotarsi di una cultura garantista, e che tra le intemperanze corporative dell’Anm e le inchieste sul Pd emiliano tutti i nodi del rapporto politica-giustizia stanno venendo al pettine. Era ora, verrebbe da dire; se non fosse che, per citare Sciascia, manca il pettine. E se il pettine manca, è perché c’è chi si è messo d’impegno a staccarne uno dopo l’altro tutti i denti.

 

La metafora che ricorre più spesso è un’altra, quella della “mutazione genetica”: la sinistra avrebbe smarrito l’ispirazione garantista trasformandosi in una cinghia di trasmissione della magistratura associata, o in una tifoseria dei pubblici ministeri; dal che si deduce che per tornare dal signor Hyde al dottor Jekyll basta aspettare che la pozione magica cessi il suo effetto. Ma è una metafora inesatta, compiacente e segretamente revisionista. Quel che è accaduto è che il partito dominante nel campo della sinistra, nel quale il garantismo era pressoché estinto già dai tempi di Berlinguer, ha fatto del suo meglio per liberarsi di chi ancora lo teneva in vita. Prima, regnante Occhetto, ha applaudito alla distruzione del Psi, e con i cascami del compromesso storico ha continuato a nutrire per vent’anni un tenace pregiudizio antisocialista. Poi è arrivato il capolavoro di Veltroni, che in nome della vocazione maggioritaria ha buttato a mare l’estrema sinistra, che aveva molti difetti ma non quello di idolatrare le procure, salvo poi imbarcare il partitino fascio-qualunquista di Di Pietro. Infine, Bersani ha pensato bene di sbarazzarsi di quel che restava dei Radicali. E così, staccati a uno a uno tutti i dentelli garantisti, il Pd è arrivato allo storico appuntamento con i nodi della giustizia avendo a disposizione un pettine sdentato, buono per far la scriminatura a un calvo.

 

Di questo non si può accusare Renzi, perché le colpe dei padri non ricadono sui figli e men che mai sui figli parricidi. Ma una cultura garantista non la s’improvvisa. E il premier, che di giustizia non si è mai curato granché, sembra procedere a tentoni con un misto di buone intenzioni, innocua spacconeria, demagogia e scelte schizofreniche (candida meritoriamente Fiandaca alle europee, ma s’inventa lo sproposito istituzionale di suggerire un pm, Gratteri, come ministro della Giustizia; parla di primato della politica, ma preme per far votare gli arresti in tempo record; dice che è a favore dell’amnistia, poi dice che è contro l’amnistia) fino a questa “riforma” che fa un po’ di parruccheria ma lascia in testa tutti i nodi e le vertigini.

 

[**Video_box_2**]L’ottimo Roberto Giachetti, renziano di scuola radicale, diceva l’altro ieri al Foglio che la presunzione di colpevolezza fa parte ormai del Dna del suo partito, che sotto questo aspetto bisogna rifare tutto daccapo. Ed è sconsolante, ma è bene non illudersi sulle cause, o saranno illusori anche i rimedi. Perché non si tratta soltanto di un’ispirazione ideale che è andata perduta. Alla sinistra non manca astrattamente una “cultura garantista”. Mancano i garantisti. I socialisti, i radicali, i libertari. La zuppa è fatta, ormai; che almeno scelgano pesci buoni per il nuovo acquario.

 

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