Matteo Renzi (Foto Lapresse)

Eccolo il vero modello tedesco

Nardella spiega perché a Renzi tocca governare senza pensare al consenso

Claudio Cerasa

Per ricostruire il paese bisogna sfidare il vento. L’esempio di Schröder (2003). Chiacchierata con il sindaco di Firenze.

Roma. Il modello tedesco, già. Dice Dario Nardella, sindaco di Firenze, successore di Renzi a Palazzo Vecchio, amico del presidente del Consiglio, che per inquadrare il momento storico in cui si trova il governo italiano bisogna riavvolgere il nastro, allontanarsi dall’Italia, spostarsi verso la Germania e andare indietro nel tempo fino agli inizi del Duemila, e più precisamente fino al 14 marzo 2003. Siamo a Berlino, il cancelliere è Gerhard Schröder e quel giorno il capo del governo tedesco presenta un famoso e acclamato piano di medio lungo termine per la ripresa economica. Un piano non bilanciato sui successivi tre anni (ovvero sui successivi mille giorni) ma bensì orientato ai successivi sette anni (ovvero sui successivi 2.500 giorni). Obiettivo: costruire la Germania del 2010 con riforme toste, innovative, decise e persino impopolari. Così impopolari che alla fine Schröder, pur di salvare la Germania, mise in conto di poter perdere le successive elezioni. Il modello tedesco, già. Dario Nardella, conversando con il Foglio, invita con amicizia il sindaco d’Italia a far sua la lezione di Schröder. “Chi dice con ironia che il governo Renzi ha cambiato passo, inserendo una marcia più lenta, per non dire una retromarcia, ha una visione miope e poco realistica del paese. Per fare delle grandi riforme serve tempo, a volte molto tempo, e il fatto che il presidente del Consiglio abbia deciso di fissare l’orizzonte temporale dell’esecutivo al 2017 è come una promessa: questo governo ha intenzione di fare cose grandi, e non cose piccole, e per fare cose grandi occorre tempo. Ma per fare le cose grandi, e credo sia questa la lezione che ci ha lasciato in eredità Schröder, bisogna non aver paura di utilizzare il consenso come un mezzo e non come un fine: il governo oggi ha una popolarità straordinaria, e se la luna di miele è finita, è finita con voi giornalisti, con un pezzo di establishment, ma non con il paese, ma come ci insegna la storia quando un paese è in difficoltà bisogna utilizzare il martello pneumatico anche a costo di far innervosire i nostri vicini di casa”. Fuori dalla metafora: “Il governo oggi può ragionare con l’ottica non di chi deve pensare a come vincere le prossime elezioni, credo sia una cosa ovvia, ma di chi deve pensare a come ricostruire il paese, anche a costo di perdere consensi. Ricordo che, per seguire il filo del modello tedesco, che all’epoca la Germania arrivò a tagliare la spesa pubblica in modo molto coraggioso, mettendo mano persino alle risorse destinate alla sanità, e costringendo le corporazioni a stare al passo con i tempi e rottamare, diciamo così, gli atteggiamenti corporativi. Schröder vinse la sua sfida anche a costo di sacrificare la sinistra del suo partito (Oskar Lafontaine ai tempi uscì dall’Spd, ndr). Io auguro a Renzi di vincere anche le prossime elezioni, e ci mancherebbe, ma la priorità oggi è far vincere il paese, e per far vincere il paese qualche volta occorre muoversi sfidando il vento”.

 

Il cronista fa notare al sindaco di Firenze che non esistono alibi per il presidente del Consiglio: gli avversari sono svaniti, le minoranze si sono dissolte, il Movimento 5 stelle è stato travolto da un improvviso auto tsunami promosso da Beppe Grillo, la Confindustria non è mai stata così debole, la Cgil non è mai stata così debole, l’ala sindacalizzata del Partito democratico non è mai stata così debole, l’establishment non è mai stato così debole, in fondo chi era da rottamare è stato rottamato, e dunque, a rigor di logica, l’unico nemico di Matteo Renzi oggi si chiama proprio Matteo Renzi (a meno che non si voglia dire, come fa ogni tanto qualche renziano, che il problema di Renzi è Giorgio Napolitano e che fino a quando ci sarà l’attuale presidente della Repubblica al Quirinale per il presidente del Consiglio sarà difficile usare la ruspa). Nardella scuote la testa, sorride, e la mette così: “Non la farei così semplice. E’ vero: il panorama politico non ci è ostile ma le corporazioni sono ancora combattive, e vive più che mai, e hanno una capacità di imporre un sistema di conservazione che non è facile da sradicare. Sindacato dei lavoratori. Dei magistrati. Degli imprenditori. Potremmo dire che in Italia il partito del Nimby, del ‘fa’ tutte le riforme che vuoi ma non nel mio giardino’, oggi è ancora molto forte. Ma c’è un terreno sul quale questo partito va sfidato ed è quello, fondamentale, dei tagli alla spesa pubblica. E da sindaco dico che sarà anche da questa partita che si giudicherà la forza del governo”.

 

Nardella, continuando il suo ragionamento, dice che in Italia il paradigma Schröder va applicato anche nell’ambito dei servizi pubblici locali ed è giusto che il governo dia il buon esempio sui tagli alla spesa ma è altrettanto giusto che i comuni mostrino coraggio anche in autonomia. In Italia, i numeri sono noti, sono quasi 2 mila su 7 mila le società partecipate dai comuni che oggi si trovano in rosso. Gli sprechi delle municipalizzate sono la ragione principale della quintuplicazione delle tasse locali negli ultimi vent’anni. E anche Nardella è convinto che il governo e gli amministratori comunali e regionali debbano fare squadra per mettere un punto alla mostruosa politica degli sprechi nelle società controllate dagli enti pubblici. “Se in Germania la grande rivoluzione di Schröder fu quella di sfidare la popolarità del suo elettorato andando a rivedere la spesa sulla sanità, e ricordo che fu un’operazione pari a circa 10 miliardi l’anno, in Italia la grande rivoluzione, in termini di riduzione della spesa, dovrebbe essere fatta partendo da un concetto semplice: da un lato, rendendo più efficienti i 680 miliardi di spesa pubblica messi ogni anno a bilancio dallo stato, e dall’altro sanare delle anomalie surreali con cui si ritrova a fare i conti il nostro paese. Parlo della sanità, parlo dei servizi pubblici, parlo dei sussidi alle imprese, parlo di piccoli grandi sprechi – le prefetture per esempio, possibile che in Toscana ce ne siano ancora dieci? – che un sindaco non può fare a meno di osservare quotidianamente. Sono convinto che questo governo riuscirà a imporre il ritmo giusto al paese. Spero che un giorno le corporazioni, piuttosto che difendere il proprio orticello, facciano la stessa cosa che hanno fatto in Germania i sindacati dei lavoratori e degli imprenditori, ovvero riformare se stessi, stando al passo con i tempi della politica”. E se tutto questo non fosse possibile, e Renzi dovesse incontrare sul suo percorso ostacoli insormontabili, le elezioni sarebbero inevitabili?
“Il presidente del Consiglio è stato chiaro e ha detto più volte che non esiste alcuna ipotesi di voto anticipato. Una cosa è certa però: questo governo non è un governo che può in alcun modo permettersi di galleggiare, e io sono certo che non lo farà”.   

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.