Matteo Renzi (Foto Lapresse)

Contro la politica dei mille piedi

Claudio Cerasa

I mille giorni di Renzi, gli annunci, le slide e le vere urgenze del governo. Dalla spending al lavoro. L’ipotesi di 32 miliardi di tagli al cuneo fiscale. L’accordo possibile con Draghi sul Qe. Intervista a Enrico Morando.

Roma. Sono le quattordici e venti quando Matteo Renzi si presenta in sala stampa a Palazzo Chigi – accompagnato dai ministri Graziano Delrio (Pd) e Maria Elena Boschi (Pd) e con moltissimi esponenti dell’Ncd stretti al suo fianco (zero) – per spiegare, questa volta senza troppi fuochi d’artificio, alcuni punti che promettono di essere centrali nel famoso programma dei mille giorni di governo. Quella di ieri sarà forse ricordata come la giornata in cui il teorico della politica dell’Adesso è diventato per forza di cose il teorico della politica del passo dopo passo e in fondo è questo il senso della conferenza stampa di ieri: non è vero che ho la sindrome dell’annuncite, il mio governo ha fatto un sacco di cose belle, voi giornalisti queste cose fate finta di non vederle e per questo il governo, per essere monitorato, da oggi istituisce una vetrina on-line (http://passodopopasso.italia.it) dove sarà visibile e verificabile tutto quello che farà il mio fantastico esecutivo. Molti sorrisi. Molte battute. Molte slide. Molte promesse. E una consapevolezza diffusa: nulla di male se per Renzi la parola “adesso” è diventata equivalente a mille giorni di governo; molto male invece se, con la scusa dei mille giorni, il governo volesse trasformare il passo dopo passo nella politica del mille piede. “Ci sono alcune cose urgenti – dice al Foglio Enrico Morando, viceministro dell’Economia – che vanno affrontate di petto senza lasciar passare troppo tempo e senza perdere un’occasione storica che questo governo ha: cambiare il paese. In una fase delicata come questa non ho problemi a dire che la misura essenziale da tenere sotto osservazione è quella relativa alla riforma del lavoro: il Jobs Act. Non nascondiamoci dietro a un dito e diciamo le cose come stanno: dobbiamo riscrivere in modo innovativo lo Statuto dei lavoratori, dobbiamo realizzare un sistema rivoluzionario di contratto unico a tutele crescenti e dobbiamo dimostrare che questa maggioranza è coerente con le sue promesse e le sue decisioni: il decreto Poletti era una misura d’urgenza approvata nell’attesa di una più generale riforma e oggi dobbiamo dire che è arrivato il tempo di incidere nel nostro tessuto economico con un grande provvedimento sul lavoro”.

 

Morando sostiene che è questa la direzione indicata anche dal governatore della Banca centrale, Mario Draghi. E conversando con questo giornale, il viceministro si sbilancia e ammette che dalla Bce, con una vera riforma strutturale sul lavoro, potrebbe arrivare qualche positiva sorpresa. “L’Italia avrà, in Europa, una forte capacità contrattuale se riuscirà a dimostrare il suo coraggio su due misure chiave: Jobs Act, appunto, e revisione della spesa pubblica. Cosa ci potrà dare in cambio l’Europa? Beh, le piste da seguire sono due. La prima è che di fronte a una buona politica di riforme sarà più semplice per la Bce realizzare quella politica monetaria che sono convinto alla fine Mario Draghi metterà in campo: il Quantitative easing (acquisto diretto da parte della Bce dei titoli di stato, ndr). La seconda riguarda la politica economica dell’Unione europea e anche se Schäuble – dice Morando con un sorriso – finge di non capire cosa ha detto Draghi a Jackson Hole sono convinto che alla fine si arriverà a questo risultato”. Di cosa si tratta?

 

Continua Morando: “Quando si parla di flessibilità e di politiche mirate alla crescita si intende una questione semplice: utilizzare le norme già esistenti in modo più elastico e far sì che per i paesi che portano avanti buone riforme strutturali l’elastico sia ancora più flessibile. L’obiettivo del governo in questa fase è lontano, come invece sostiene qualcuno, dalla politica degli Eurobond ma è più interessato invece a puntare quei 300 miliardi di euro per la crescita promessi nei prossimi tre anni dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Quei 300 miliardi, a mio avviso, è bene che siano destinati a finanziare i Project bond e sono convinto che una volta che l’Europa imboccherà questa strada – ma non prima, sarebbe un errore – sarà possibile ragionare anche sui numeri relativi al pareggio di bilancio”. Morando lascia intendere che l’idea di poter arrivare il prossimo anno a sfiorare la soglia del 3 per cento nel rapporto deficit/pil (nel 2015, per rispettare il pareggio di bilancio, l’Italia dovrebbe arrivare all’1,8 per cento) dipenderà da una serie di meccanismi che dovrà essere innescata in Europa già a partire da questo anno. Chiediamo a Morando se sia possibile o no anticipare già oggi quali saranno i numeri – sedici?, diciotto?, venti? – della prossima legge di stabilità e il viceministro dice che al momento non è possibile parlare di numeri perché tutto dipenderà da un dossier delicato che si ritrova in mano il governo: quello sulla spesa pubblica.

 

“Non è possibile parlare di cifre fino a che non capiremo se per ‘tagli’ dovremo considerare solo delle operazioni legislative e non, come vorrei, delle più complessive misure di risparmio. E’ un punto importante, centrale, e confesso che sulla questione il governo si sta confrontando con i tecnici della Ragioneria dello stato. Il problema è questo: con obiettivi di tagli alla spesa ambiziosi come quelli che si è posto il governo, un punto di pil nel 2015 (16 miliardi), due punti di pil nel 2016 (32 miliardi), è possibile pensare di ottenere risparmi solo attraverso operazioni in base alle quali prendi una legge, la modifichi e ottieni questo risparmio? La risposta, secondo me, è no. E credo che l’Italia dovrebbe prendere esempio da alcuni paesi scandinavi, come la Svezia, che quando mettono in pratica politiche di spending review fanno rientrare nel calcolo dei tagli anche i risparmi ricavati dalla modifica strutturale dei comportamenti della Pubblica amministrazione. Sembra una questione tecnica ma è in realtà uno snodo cruciale per capire come verrà scritta e pensata la prossima legge di stabilità”. Morando dice che i tagli alla spesa pubblica saranno importanti anche per riuscire a portare avanti una seria e non rituale politica di revisione della pressione fiscale. E al termine della nostra conversazione, il viceministro spiega quali potrebbero essere i nuovi 80 euro del governo Renzi. “Se vogliamo recuperare capacità competitiva nei prossimi tre anni, l’idea è quella di realizzare un’operazione da 32 miliardi per portare il prelievo fiscale su lavoro e impresa dell’Italia ai livelli dei grandi paesi europei, come Francia e Germania. I numeri sono grossi ma gradualmente, e appunto passo dopo passo, sono convinto che questo obiettivo sia meno impossibile di quello che in molti potrebbero credere”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.