Matteo Renzi (foto LaPresse)

Renziani abbandonati

Claudio Cerasa

Richetti e gli altri. Nel gruppo parlamentare del Pd, dove i renziani puri, al netto degli Rgm (Renziani geneticamente modificati), sono 51 e almeno la metà di questi, lontano dai microfoni, dice che nel sistema dell’amico Matteo c’è qualcosa che non va. Cosa si scrivono tra loro i rottamatori che chiedono al premier più spirito di squadra.

Roma. Domenica pomeriggio, intervistato da Lucia Annunziata su RaiTre, il deputato del Pd Matteo Richetti – renziano puro, già gemello di Renzi alla Leopolda del 2012, quando i due erano gli Holly e Benji del Pd, e quando l’allora presidente del Consiglio regionale emiliano chiuse la convention dei Rottamatori a Firenze in mezzo a mille abbracci, mille complimenti, mille citazioni di Steve Jobs – ha detto, a proposito del presidente del Consiglio, che non si governa con la politica dell’annuncio, che un partito che non riesce a coinvolgere gli iscritti ha un problema enorme e che la caratteristica di Renzi è che in questi mesi di governo ha sostanzialmente reso più credibile se stesso a discapito del partito. “Il partito è attraversato da funzionari che mal sopportano Renzi: quando arriva gli fanno grandi applausi, quando se ne va continuano come nulla fosse”. A Palazzo Chigi, Richetti viene visto come un renziano in perenne ricerca di visibilità che non ha mai accettato il fatto di non essere stato valorizzato a sufficienza dal leader del Pd (niente incarichi di governo, niente incarichi di partito, niente incarichi istituzionali, niente gestione del gruppo alla Camera) e che non ha ancora metabolizzato il suo passo indietro alle primarie del Pd in Emilia Romagna (prima candidato, poi ritirato, quindi indagato), e il suo tentativo di diventare in un certo senso il portabandiera dei renziani della prima ora viene osservato con diffidenza e indifferenza dall’entourage del presidente del Consiglio.

 

Al di là della questione non troppo appassionante dell’ortodossia renziana, chiunque conosca il mondo del Partito democratico, e le sue dinamiche parlamentari, sa che il caso Richetti non può essere circoscritto come il semplice sfogo di un renziano amareggiato dalle troppe occasioni non avute nel corso di quella che doveva e poteva essere anche la sua legislatura. Nel gruppo parlamentare del Pd – dove i renziani puri, al netto degli Rgm (Renziani geneticamente modificati), sono 51 – almeno la metà di questi, lontano dai microfoni, dice che nel sistema dell’amico Matteo c’è qualcosa che non va. E la questione è a metà tra la politica e la psicologia. I parlamentari che vengono lasciati e abbandonati al loro destino. Il filtro con il partito che non funziona. La difficile comunicazione con il segretario. L’sms come unico strumento di dialogo con il capo partito. La distanza tra le riforme annunciate e le riforme approvate. I provvedimenti svuotati nelle commissioni parlamentari. L’utilizzo eccessivo di uno strumento debole come il disegno di legge delega. La paura che il governo possa crollare per una sottovalutazione di carattere tattico. Lo stupore nel vedere Renzi osannato da Marchionne, elogiato da Bazoli, incitato da Caltagirone, incoraggiato da De Benedetti, che si lamenta per essere assediato dai poteri forti. E la scelta di Renzi di selezionare attorno a sé pochi e fidati collaboratori ai quali delegare sostanzialmente l’universo mondo. Il caso di scuola che ha più colpito i renziani più realisti del re – quelli che Matteo-non-può-fare-tutto-solo-con-Luca-e-Maria-Elena – è quello relativo alla riforma della giustizia: grandi annunci in conferenza stampa, grandi promesse, grandi aspettative e poi, passo dopo passo, il decreto che viene svuotato in commissione e il testo che doveva rivoluzionare la giustizia civile che sostanzialmente lascia tutto com’era prima (e il terrore è che ora anche la riforma del lavoro, capitolo articolo 18, sia solo una piccola manutenzione della legge Fornero del 2012). Il gruppo di renziani soddisfatto per l’ascesa del loro beniamino ma deluso allo stesso tempo per le modalità di lavoro scelte dal presidente del Consiglio si trova più alla Camera che al Senato. Per ragioni di numeri parlamentari è dunque statisticamente irrilevante per gli equilibri interni alla maggioranza ma simbolicamente costituisce un piccolo elemento di debolezza nell’impalcatura del renzismo. Tra due settimane, come si sa, il segretario del Pd organizzerà a Firenze la sua nuova Leopolda.

 

[**Video_box_2**]Sarà una grande festa. I renziani saranno molto eccitati. Sarà il primo big bang in cui i rottamatori si presenteranno da inseguiti e non più inseguitori. Ma sarà anche la prima volta in cui il segretario del Pd – capo di una corrente percepita come molto tentacolare e molto strutturata ma che in realtà ha smesso di riunirsi e incontrarsi un minuto dopo la conquista di Palazzo Chigi – potrebbe rendersi conto che quello che alcuni deputati del Pd di area renziana si scrivono tra loro via email non è soltanto delusione per non essere stati coinvolti direttamente in un progetto di governo e non è solo sindrome da abbandono di chi era abituato a interloquire ogni giorno, anche con un sms, un messaggio su Whatsapp, con il proprio capo ma è un senso di delusione per quello che questo governo potrebbe fare e che invece ancora non riesce a fare come sarebbe lecito aspettarsi. Le email di ogni tipo. Email amareggiate. Email come questa che il cronista ha intercettato qualche giorno fa, a fine settembre. “Matteo deve misurare il passo delle sue dichiarazioni con i tempi delle riforme. Se passi dai 100 ai 1.000 giorni, devi passare anche dallo slogan Twitter a qualcosa di più, diciamo una dichiarazione facebook. Altrimenti la delusione sui mancati risultati sarà dietro l’angolo”. L’email gira. Chissà se alla Leopolda i renziani delusi avranno il coraggio di mandarla anche su Whatsapp al loro presidente del Consiglio.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.