Due donne americane sposate partecipano a una manifestazione a favore dei matrimoni gay in America (foto AP)

La strana giurisprudenza dell'adozione gay all'italiana

Nicoletta Tiliacos

La notizia è che il Tribunale dei minorenni di Roma avrebbe autorizzato la prima adozione di una bambina per una coppia di donne conviventi da una decina d’anni. Non è esattamente così.

La notizia è che il Tribunale dei minorenni di Roma avrebbe autorizzato la prima adozione di una bambina per una coppia di donne conviventi da una decina d’anni. Non è esattamente così. La procedura di adozione riguarda in realtà una sola delle due donne, perché l’altra è già la madre effettiva e legale della bambina, avuta – dicono le interessate – con inseminazione eterologa effettuata all’estero. Il problema era dunque far riconoscere alla convivente che con la piccola non ha alcun legame biologico – ma che, come si dice, ha “partecipato al progetto genitoriale”  – lo stesso ruolo della madre e gli identici diritti-doveri stabiliti dalla legge. Stando alle dichiarazioni della loro avvocatessa, ci sarebbero riuscite: il Tribunale ha accolto il ricorso della coppia sulla base della legge relativa all’adozione, laddove, ha dichiarato la legale, essa è contemplata “nel superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l’adulto, in questo caso genitore ‘sociale’, quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo”.

 

Se fosse così, sarebbe sul serio una prima assoluta in quanto a giurisprudenza creativa. Non si capisce sulla base di quale legge il Tribunale abbia potuto pronunciarsi in quel senso. Non certo in base a quella vigente in Italia in tema di adozioni: l’articolo che regola la materia, e dal quale tutti gli altri discendono, è inequivocabile: “L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni”. E siccome si dà il caso che per la Costituzione a poter essere uniti in matrimonio, in Italia, sono ancora soltanto persone di diverso sesso, non esiste il presupposto giuridico perché una coppia di donne conviventi (o meglio, la donna convivente della vera madre) possa accedere all’adozione. Per capire di che si tratta, pensiamo solo che se al posto di quella donna ci fosse un uomo convivente, l’adozione non sarebbe possibile.

 

Non si tratta nemmeno dell’affido (procedura diversa dall’adozione, tanto che può riguardare anche una persona singola), che pure ha interessato una coppia di uomini, lo scorso anno.  In quel caso, una bambina di tre anni in condizioni famigliari complesse, che conosceva bene e già chiamava zii i due uomini, suoi vicini di casa, è stata data in affido temporaneo di tre anni alla coppia dal Tribunale di Bologna.  La bambina di cui si sta parlando in queste ore, invece, non è né stata dichiarata adottabile – e come potrebbe, visto che una madre ce l’ha? – e neanche, a maggior ragione, candidata all’affido. La verità è che in Italia non esiste nessuna legge che autorizzi l’adozione da parte di persone dello stesso sesso, ma per certi giudici, che vogliono sostituirsi al Parlamento e alla volontà popolare, la cosa è evidentemente irrilevante.