Marine Le Pen (foto Ap)

Camarades adieu. Così il Fn 2.0 si è convertito alla causa israeliana

Mauro Zanon

Malgrado le provocazioni del padre, la svolta di Marine Le Pen funziona: ebrei, siamo noi il vostro baluardo. La nuova linea del partito è quella di “condannare nei termini più duri ogni forma di antisemitismo, in qualsiasi forma”.

Parigi. A Nanterre, presso la sede del partito, o a Bruxelles, in occasione delle plenarie, si incrociano regolarmente. Ma da un mese a questa parte si salutano a malapena. “Marine non mi ha chiesto scusa, e non è da lei. Mi ha graffiato il cuore”, ha dichiarato Jean-Marie Le Pen qualche giorno fa, sempre più solo ed emarginato nel partito che ha fondato e guidato per più di trent’anni. Dall’ultima zuffa familiare, non si sono più riconciliati. La battutaccia sulla “infornata” ai danni del popolare cantautore di origine ebraica Patrick Bruel ha lasciato gravi strascichi in casa Le Pen.

 

In molti hanno sottovalutato l’episodio, la stampa maramalda ha gridato al fallimento della “dédiabolisation”, ma la strigliata pubblica di Marine al patriarca della destra identitaria ha rappresentato un punto di rottura significativo rispetto al passato. E’ stata infatti la prima volta che l’attuale leader del Front national ha fustigato apertamente le sparate antisemite del padre, rimarcando la nuova linea del partito, che “condanna nei termini più duri ogni forma di antisemitismo, in qualsiasi forma”. La sordina per contenere le intemperanze di “Menhir” Le Pen ha funzionato più o meno bene dall’insediamento di Marine nel 2011, con il suo braccio destro e terminale mediatico Florian Philippot a vestire i panni dell’equilibrista e dell’orchestratore virtuoso del Fn 2.0. Ma, in privato, i rapporti sono logori da più tempo e l’insofferenza di Marine per i rigurgiti antiebraici di suo padre non risale certo all’altro ieri. La scorsa settimana, un dirigente del Front national, che ha preferito mantenere l’anonimato, ha raccontato al Nouvel Observateur le tre fasi del rapporto tormentato tra i Le Pen. La prima è stata quella delle “bouderies”: Jean-Marie, ai tempi in cui era ancora il numero uno indiscusso del Fn, se ne usciva spesso e volentieri con frasi come “l’occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale non è stata poi così disumana”, Marine faceva il broncio e spariva dalla circolazione per settimane; la seconda, iniziata in concomitanza con la sua ascesa al vertice del Fn, è stata quella dello smarcamento, “io (Marine) sono io e lui (Jean-Marie) è lui”; la terza, attualmente in corso, è quella dell’allontanamento definitivo, “io sono il capo e lui un militante come gli altri”.

 

E la conferma di questa spaccatura pressoché irreparabile tra padre e figlia, le cui opinioni politiche sono oramai agli antipodi, giunge in questi giorni in cui la linea del partito sulla crisi israelo-palestinese è quella della prudenza e del silenzio calcolato. Sabato scorso, mentre su Twitter Jean-Marie rinnovava il suo sostegno ai palestinesi, Marine si esprimeva in questi termini sulla dissoluzione della Ligue de défense juive minacciata dal ministro dell’Interno Cazeneuve: “Se esiste una Ligue de défense juive, significa che un gran numero di ebrei si sente in pericolo. Sentono che in Francia si sta affermando un nuovo antisemitismo, innescato dalle conflittualità tra comunità”. Una dichiarazione che ha sorpreso molti, ma che in realtà è la riprova del cambio di rotta impartito da Marine per disintossicare il Front national dalle scorie razziste del passato e renderlo “presentabile”. Rispetto a suo padre, ha auspicato fin dall’inizio del suo mandato di “intrattenere rapporti più pacifici” con la comunità ebraica, promuovendo il partito come ultimo baluardo in difesa dell’ordine repubblicano, contro il “nuovo antisemitismo islamico” delle banlieue. Nel marzo del 2011, alla radio israeliana 90FM, metteva nero su bianco lo spirito del nuovo Front national: “Il Fn non è un pericolo per i francesi di origine ebraica, anzi tutto il contrario. So bene, avendo un certo numero di amici ebrei, che la loro situazione in alcuni quartieri è sempre più difficile e che contano sul Fn per essere protetti”.

 

Una posizione ribadita un mese fa alla vigilia dello scoppio dell’ultima crisi israelo-palestinese: “Il Front national è per gli ebrei di Francia il miglior scudo contro il fondamentalismo islamico”. I messaggi di solidarietà e di riconciliazione con la comunità ebraica che Marine ha disseminato in questi tre anni da numero uno del Fn, oltre a rappresentare uno stacco netto rispetto alla tradizione filopalestinese del padre, costituiscono un ulteriore e fondamentale tassello di quel processo di “dediabolizzazione” che stando ai sondaggi sta producendo i frutti sperati. L’ultimo, condotto dall’istituto Ifop, dà la presidente del Fn in testa con il 27 per cento, in un ipotetico primo turno delle presidenziali, staccata di dieci punti percentuali dal Partito socialista. Ma il 2017 è ancora lontano ed è oggi la strategia frontista dell’equilibrio a proposito del conflitto israelo-palestinese a sollevare le principali questioni. Una strategia che secondo quanto dichiarato al Figaro dal presidente dell’Osservatorio delle radicalità politiche, Jean-Yves Camus, “la dice lunga sul malessere del Fn circa quanto sta accadendo sulla Striscia di Gaza e sulla divisione interna al partito tra filo-israeliani e filo-palestinesi”.

 

Intrappolato tra la sua storia passata, incarnata dall’avversione per Israele di Jean-Marie Le Pen e dei “camarades” della vecchia guardia, e quella più recente, marcata dalle aperture pro israeliane del nuovo corso, con il vicepresidente Louis Aliot in prima fila, il Front national ritrova tuttavia la sua compattezza nell’affermare che la priorità del partito è la risoluzione dei problemi dei francesi e non della crisi di Gaza. “Non possiamo subire gli odi ereditati dal conflitto israelo-palestinese”, ha tuonato Aliot, prima di rispondere alle critiche sulla neutralità sospetta del Fn circa il conflitto: “Il Fn è pro francesi, occupiamoci innanzitutto dei loro problemi”. Ma l’uniformità di vedute tra i membri del Fn permane soprattutto nell’imputare al multiculturalismo e all’esecutivo socialista che lo asseconda l’importazione del conflitto israelo-palestinese e i conseguenti disordini verificatisi nelle scorse settimane sul territorio francese. Ai microfoni di Rtl, il vicepresidente Florian Philippot ha denunciato “l’incapacità” del governo di gestire una situazione che rischia di peggiorare giorno dopo giorno e che è il risultato di una dissennata politica “multicomunitarista”.

 

“Bisogna reagire – ha insistito Philippot – opponendo un cocktail francese basato sulla fine dell’immigrazione e del lassismo, e sulla promozione dell’assimilazionismo”. A fargli eco, la leader del Front national: degli scontri nei cortei pro Gaza e dell’importazione del conflitto israelo-palestinese sono responsabili in egual misura Ps e Ump per aver dato vita in Francia a un miscuglio deleterio di “comunitarismo”, “lassismo delle forze dell’ordine” e “immigrazione massiva”.