Amnesty fa di Israele un “criminale di guerra”. Una fatwa umanitaria

Giulio Meotti

“Gli Stati Uniti interrompano le spedizioni di carburante alle Forze armate d’Israele, mentre aumentano le prove di crimini di guerra a Gaza”. L’incredibile richiesta e accusa viene niente meno che da Amnesty International, madrina dei diritti umani e premio Nobel per la Pace.

“Gli Stati Uniti interrompano le spedizioni di carburante alle Forze armate d’Israele, mentre aumentano le prove di crimini di guerra a Gaza”. L’incredibile richiesta e accusa viene niente meno che da Amnesty International, madrina dei diritti umani e premio Nobel per la Pace. L’organizzazione non governativa ieri ha anche accusato lo stato ebraico di “crimini di guerra”, chiedendo l’apertura di una inchiesta alla Corte dell’Aia. Se Washington non dovesse interrompere le forniture di carburante a Tsahal, “il governo americano avrà il sangue sulle sue mani”. Parola di Brian Wood, capo del dipartimento sul controllo delle armi di Amnesty. Alcuni giorni prima, Amnesty aveva accusato Gerusalemme anche di “punizione collettiva dei palestinesi”. Purtroppo, Amnesty non è al di sopra delle parti in medio oriente. L’organizzazione ha assunto Deborah Hyams come ricercatrice su “Israele, Territori palestinesi occupati e Autorità palestinese”. E’ la stessa Hyams che ha dichiarato che mentre non giustifica gli attentati suicidi, personalmente pensa che “siano una risposta all’occupazione”. In un altro caso aveva affermato che “l’occupazione è violenza… e la conseguenza di questa azione si traduce in violenza”.

 

Durante la Prima Intifada, i terroristi del Fronte opolare per la liberazione della Palestina (Fplp) vennero definiti da Amnesty come “prigionieri di coscienza”. Fu l’avvio di una campagna per condonare la violenza anti israeliana. Amnesty non ha mai condannato le 81 sparatorie, i 651 attacchi con bombe Molotov, i 94 attentati, le 173 aggressioni con coltelli, mazze, asce contro i civili israeliani e i soldati durante i primi due anni dell’Intifada.

 

Amnesty sta richiedendo la liberazione di terroristi riconosciuti colpevoli come Ahmad Saadat, il capo del Fplp, condannato per la sua responsabilità negli attentati compiuti dalla sua organizzazione, in particolare l’omicidio del ministro israeliano Rehavam Zeevi. Amnesty ha anche definito Bassam Tamimi “prigioniero di coscienza” (la stessa definizione che Amnesty una volta utilizzava per dissidenti del calibro di Andrei Sakharov). La pagina Facebook di Bassam Tamimi condona il terrorismo arabo palestinese e quanti hanno perpetrato omicidi efferati contro ebrei. Una sua parente, Ahlam Tamimi, aveva fatto da scorta all’attentatore suicida alla pizzeria “Sbarro” a Gerusalemme, dove rimasero uccise quindici persone, otto delle quali minorenni.
L’ufficio di Amnesty a Londra ha ospitato eventi come “Complicity in oppression: do the media aid Israel?”. E’ stato organizzato dalla Palestine Solidarity Campaign e ha visto come ospite d’onore Abdel Bari Atwan, che nel 2008 aveva giustificato l’attentato alla yeshiva Mercaz HaRav di Gerusalemme nel quale erano rimasti uccisi otto studenti israeliani.

 

Nel 2002, Amnesty accusò Israele di crimini di guerra a Jenin. Una leggenda basata su menzogne dure a morire. Nel 2006, durante la guerra di Libano, Amnesty produsse più documenti contro Israele che sul genocidio del Darfur allora in corso. Nel linguaggio ambiguo di Amnesty, proteggere gli israeliani dai kamikaze con le barriere difensive è diventato “apartheid”.
“Uno stato feccia”. Così ha definito Israele il direttore di Amnesty International a Helsinki, Frank Johansson, scrivendo sul sito del tabloid Iltalehti. Due anni fa Amnesty era arrivata a chiedere all’Amministrazione Obama di “sospendere immediatamente gli aiuti militari a Israele”. Ma allora non aveva trovato il tempo di chiedere, en passant, anche un embargo di Hamas, rendendosi incapace di distinguere fra Israele e i suoi aggressori, fra una democrazia quantunque imperfetta e un movimento terrorista.
Ci mancava soltanto la richiesta all’America di lasciare a secco i carri armati con la stella di Davide e di trascinare gli ebrei alla Corte dell’Aia. Una fatwa umanitaria.

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.