“Julie non vuole assolutamente vestire i panni della Première Dame classica”

La triste vita delle Première Dame

Mauro Zanon

Parigi. “Qui sera la présidente?”, si chiedeva nel 1906 il settimanale L’Illustration, alla vigilia del risultato delle elezioni presidenziali che videro opporsi Armand Fallières e Paul Doumer. La spuntò il primo e la “présidente” divenne Jeanne Fallières, nata Jeanne Bresson.

Parigi. “Qui sera la présidente?”, si chiedeva nel 1906 il settimanale L’Illustration, alla vigilia del risultato delle elezioni presidenziali che videro opporsi Armand Fallières e Paul Doumer. La spuntò il primo e la “présidente” divenne Jeanne Fallières, nata Jeanne Bresson. Così veniva definita all’epoca colei che oggi convenzionalmente viene chiamata “Première Dame”, la moglie o la compagna del capo di stato francese. Impiegata per la prima volta dalla stampa francese con Marguerite Lebrun, moglie di Albert Lebrun, ultimo presidente della Terza Repubblica, la formula di “Première Dame” divenne di uso comune solamente con la nascita della Quinta Repubblica, pur non figurando nella Costituzione fondativa entrata in vigore il 4 ottobre del 1958. E’ con De Gaulle che la figura della prima donna di Francia sembra potersi affermare nell’organigramma della République. Ma per Yvonne, la moglie del generale, come per le altre sette Première Dame della Quinta Repubblica, la vita all’Eliseo è stata più croci che delizie. E per alcune di esse un autentico inferno. Dietro i sorrisi e i gioielli, i protocolli e le cene di gala, un’esistenza solitaria, defilata, condotta silenziosamente, spesso lontane dai loro mariti, stretti tra l’esercizio del potere e l’intraprendenza delle “altre donne”, quelle al di fuori del recinto dell’Eliseo. Da Yvonne de Gaulle a Valérie Trierweiler, passando per Claude Pompidou e Bernadette Chirac, Robert Schneider, giornalista del Nouvel Observateur, si cala con il suo ultimo libro, “Premières Dames”, nell’intimità di quel ruolo senza regole, di quella funzione che, dal celebre tweet di Valérie Trierweiler, dice, è divenuta obsoleta. “Il presidente è vedovo, io non sono nessuno”, tuonò Bernadette Chirac, dimenticata dalle telecamere e dai proiettori che preferivano concentrarsi su sua figlia. Nel corso del primo mandato fu volutamente tenuta in disparte da Jacques Chirac: lei era troppo conservatrice, lui voleva essere il presidente della modernità, e i due aspetti cozzavano. Fuggi appena possibile da questo “palazzo di ghiaccio”, consigliò Bernadette Chirac a Cécilia Sarkozy nel 2007.

 

Quest’ultima fece i bagagli dopo appena cinque mesi, “mi dà sui nervi l’essere Première Dame” fu il suo primo commento quando Sarkozy venne eletto. Quasi come Carla Bruni. “Non ne posso più di questa vita”, sussurrò l’attuale compagna di Sarkozy a Valérie Trierweiler nel 2012, dandole il benvenuto in quella che Claude Pompidou ribattezzò la “casa dell’infelicità”. Danielle Mitterrand, laica e militante socialista fin dalla tenera età, era la sola “ribelle”, a tal punto che suo marito fu obbligato a metterla sotto stretta sorveglianza durante i suoi spostamenti all’estero. Valérie ha bruciato la sua libertà con quel tweet assassino contro Ségolène Royal, Carlà si è mostrata sempre discreta, pur soffrendo enormemente, e Cécilia, voleva essere indipendente. Non riusciva a esserlo, invece, perché timida e impacciata, Anne-Aymone Giscard d’Estaing. Come Yvonne de Gaulle, la più oscurata tra le Première Dame, perché “moglie dell’eroe nazionale”, Anne-Aymone trascorse la sua vita all’ombra di Valéry. Era infelice, la più infelice tra le Première Dame. Giscard sognava con lei un’epopea à la Kennedy, era ossessionato dal mostrarsi moderno, e fu così che un giorno le propose un incarico politico, notizia alla quale il Monde consacrò una pagina intera: Anne-Aymone Giscard d’Estaing, “l’inviata speciale” del presidente. La mandò ovunque a New York, a Roma, in Egitto a Singapore, a parlare in nome della Francia, ma quel suo nuovo ruolo, conferitole dal marito, le creò solo inconvenienti. Un giorno un giornalista le chiese: “Ora che siete Première Dame, di cosa avete voglia?”. E lei: “Di non esserlo più”. Non lo aveva agli inizi del Ventesimo secolo e non lo ha tutt’ora uno statuto ufficiale, il suo ruolo non è codificato da alcun testo legislativo e la maggior parte dei francesi è contraria a una sua istituzionalizzazione sul modello americano della First Lady.

 

A gennaio, un sondaggio dell’istituto Bva pubblicato dal Parisien evidenziava come il 54 per cento fosse addirittura favorevole a una cancellazione definitiva della Première Dame: nessuno status legislativo, nessun ruolo, e soprattutto nessun ufficio e nessun collaboratore a carico dei contribuenti. Il risultato di quella rilevazione, certamente influenzato dal vaudeville Hollande-Gayet e dalle spese pazze di Valérie Trierweiler per viaggi e personale, confermava comunque il sentimento che assale i francesi a ogni cambio di guardia all’Eliseo: perché noi francesi, che a differenza degli americani eleggiamo un uomo e non una coppia, dovremmo mantenere a spese nostre colei che condivide la sua intimità con il Presidente non essendo il suo ruolo riconosciuto dalla Costituzione? E perché dovremmo pure fungere da stampella economica ai suoi dipendenti, i quali, oltre a smistare le montagne di lettere e richieste che per tradizione i francesi inviano alla “Dame de l’Elysée” fin dai tempi di M.me Coty sotto la Quarta Repubblica, non hanno niente da fare? Il dibattito sul riconoscimento ufficiale della Première Dame si è comunque riacceso in questi giorni in cui si accavallano le voci sull’annuncio che tabloid e amanti del gossip attendono con trepidazione: l’ufficializzazione dell’unione tra il presidente Hollande e l’attrice Julie Gayet. Secondo il Signorini francese, Yves Azéroual, che alla loro storia d’amore ha dedicato un libro uscito a giugno nelle librerie francesi, “Passions d’État”, tutto si risolverà entro la fine di agosto. Sarà forse la volta buona per ripensare e normare lo statuto di Première Dame? O sarà forse l’occasione per cancellarlo definitivamente? Secondo Robert Schneider, interrogato dal Figaro a proposito del suo ultimo libro, Julie Gayet sarà sicuramente la prima First Lady moderna: “Non vuole assolutamente vestire i panni della Première Dame classica. Nel caso in cui venisse ufficializzata la sua relazione con François Hollande, vuole continuare a essere attrice, produttrice e a vivere discretamente. Ha vissuto malissimo il fatto di avere sempre i fotografi sotto casa, in seguito all’affaire Closer. Oggi lei e il presidente sono sufficientemente discreti perché possano essere lasciati in pace”.

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