La statua di Cola Di Rienzo

Cordero che Cola

Redazione

I giochi onomastici su Renzi e il Cav., e la gogna come indecenza.

Scriveva bella “prosa dal passo scultorio”, prima. Quantunque pesante di immagini ossessive, pregiudizi marmorei. Ora invece gioca sui cognomi, scadimento da destraccia pubblicistica. Giocare sulla “curiosa omonimia”, per altro patronimica, tra Matteo Renzi, fiorentino, e Cola di Rienzo, tribuno (diremmo oggi “populista”) trecentesco romano, è espediente che non verrebbe alla penna nemmeno di una Spinelli che s’ingaglioffi in analogie tra il Cavaliere e il Marchese, nemmeno al Marco Travaglio delle infantili filastrocche onomastiche, “Renzusconi” e giù di lì. Ci fu un tempo in cui la sua prosa era ossessionata dai bagliori del Caimano, e sembrava davvero illuminare con sapienze precluse ai più le profondità inaudite del malaffare italiano. Sembrava. Ma poiché oggi i fatti hanno dimostrato che il Caimano tale non è, non fuochi in città al suo addio, non condanna al patibolo, non damnatio memoriae, il professor Franco Cordero, giurista di chiara fama, dovrebbe piuttosto fare accademica ammenda. Ma la ghigliottina può anche incepparsi, o fermarsi per la mano della giustizia, e invece la gogna come metodo e prassi, come insinuazione narrativa e saggistica, non si ferma mai – e quando s’è professori e colti, e si gioca di specchio con la Storia, è maggior colpa – il professore Cordero s’è inventato su Rep. il giochetto dei nomi. A presente e futura infamia del fiorentino: uno che “fa politica come i pesci nuotano”, “ideologicamente neutro, risoluto, insonne”. Che già infante “s’era distinto in una gara televisiva”. Dunque già predestinato ad essere esposto in parallela gogna come quel presuntuoso “Nicola severo e pietoso, de libertate, pace e iustitia tribuno”, che presto (presto: ottativo presente e futuro) “piagnenno e sospiranno” sarà scalzato dal “dominio” per l’invidia dei suoi denigratori, fino a trasformarsi di lì a poco in “figura degenere anche fisicamente” pronto alla “miserabile carneficina”. Il nuovo Caimano. E “qui finiscono le storie parallele”, di grazia.

 

Dove sia la colpa, oltre che ginnasialmente onomastica, di Renzi, oltre che nel voler riformare il Senato, bene non si coglie. O almeno. Si coglie benissimo, da un certo dato punto della prosa di Cordero. E’ nel meccanismo della sua stessa presa di potere, poiché ha “stravinto grazie all’apporto esterno”. Impuro diremmo. E’ nell’esecutivo che nasce “forte”, e nel “Parlamento ubbidiente”. Ed è nell’ovvia scelleratezza che tutto sottende: “L’erede consulta B.”. “Esordio malaccorto perché sappiamo che cosa covi l’interlocutore”. Cosa covi, l’interlocutore, lo risparmiamo al lettore perché si sa, s’immagina: l’attacco alla Giustizia, “garantismo” e “autonomia della politica” che divengono parole d’ordine, ma si direbbero bestemmie all’orecchio del fine giurista.

 

La ghigliottina può anche incepparsi, la gogna e l’insinuazione mai. Ma lo sbrocco da rosico amaro, l’onomastica costretta a replicare il suo teatrino, portano a mostrificarsi, tale e quale il malaccortamente evocato Cola di Rienzo. Cordero che Cola.

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