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Nazionale senza amore

Redazione

L’Italia è il paese che amo, disse una volta un tale che poi dimostrò che l’assunto era vero, e che ha sempre amato anche il calcio. “Italia, manca l’amore”, dice ora al Corriere della Sera l’ex ct della Nazionale Cesare Prandelli.

L’Italia è il paese che amo, disse una volta un tale che poi dimostrò che l’assunto era vero, e che ha sempre amato anche il calcio. “Italia, manca l’amore”, dice ora al Corriere della Sera l’ex ct della Nazionale Cesare Prandelli. E per quanto sia il titolo apocrifo, ma non posticcio, di un’intervista di Beppe Severgnini, con tutto lo spam di corrività paludata e supponenza che il genere si porta dietro (“Prima di cominciare posso dire una cosa?”. “Certo, Cesare”; “se questo è marketing, Beppe, lo faccio tutti i giorni!”), l’incolmabile distanza tra il primo e il secondo modo di sentire e di amare l’Italia, intesa come metafora del calcio, basta e avanza per capire qualcosa di un paese, inteso come espressione politica e non solo geografica.

 

Nessuno è meglio di Severgnini per un’intervista postuma, il cui senso sta in questa frase: “In Germania la Nazionale viene prima di ogni altra squadra. Da noi contano i club”. Sentenza a ben guardare frutto di una visione truffalda ma assai diffusa, dell’Italia prima che del suo calcio, che in Prandelli ha trovato il suo volenteroso e tragicomico alfiere. “Umiliazione? Umiliazione è anche vedere la nostra Italia che arranca in tutti i settori”. “Una volta c’erano eroi poveri in campo e benestanti sugli spalti: applauso garantito. Oggi in campo ci sono persone ricche e sugli spalti persone povere. Risentimento assicurato”. Frasi così, omiletica loffia. Invece non è vero. Persino in Germania il calcio è rinato per l’apporto dei grandi club, per il business che funziona. La ricchezza produce vittorie, le vittorie producono amore. Arrancare dietro una visione arcaica e moralista produce declino, non solo nel calcio, e meritati fischi.