Silvio Berlusconi (Foto La Presse)

Cara grazia, ma il Cav. ci pensa

Salvatore Merlo

“Il mood sta cambiando”, dice Berlusconi pensando al Renzi garantista su Errani. Intanto ad Arcore e in azienda, aleggia un piano B: se il processo Ruby va male, si riparlerà con Nap.

Roma. Se ne parla ad Arcore, nelle cene del fine settimana, se ne parla in famiglia, a Segrate e a Cologno, dove la strategia d’appeasement, persino con il nemico Carlo De Benedetti, è da tempo la prima opzione. Così adesso, con cautela, se ne parla anche a Roma, tra i cortigiani, nei corridoi del partito, nella confusione umorale di Forza Italia, in Transatlantico e al Senato, dove la fronda di Augusto Minzolini, come quella di Raffaele Fitto, annoiano ma non preoccupano, ci sono cose più serie in ballo, si vedrà. Dice Giovanni Toti, tutto d’un fiato: “E’ presto per pensarci, e non è all’ordine del giorno. Berlusconi sarà assolto nel processo Ruby perché non ha fatto niente. E comunque, per scaramanzia, noi la parola grazia non la dovremmo pronunciare nemmeno”. Eppure la si maneggia, la parola “grazia”, e con sempre minor cautela. Qualcosa si muove in attesa della sentenza d’appello, s’avverte come un ribollire nelle fessure di Palazzo, un rullio di tamburelli in azienda, tra nuove mosse societarie e dichiarazioni pubbliche di Pier Silvio Berlusconi, del renziano Pier Silvio Berlusconi, che fanno eco su su, fino a Palazzo Chigi e al Quirinale. E dunque una strategia, forse ancora allo stato gassoso, una sorta di piano B – che fare se va tutto storto? – passa di bocca in bocca, è nella testa di ciascuno dei protagonisti sul proscenio girevole di Arcore: bisogna mettere al riparo l’azienda, il portafoglio, la ghirba, il lavoro di una vita, ma anche la libertà personale. Così, sempre immerso in questo dramma fosco, tormentato dalla sua corte pazza e dai tribunali, “un giorno sono il condannato di Cesano Boscone e l’altro sono il padre delle riforme”, Silvio Berlusconi, in un marasma di riunioni, doppie riunioni sovrapposte, convocate e sconvocate, di baruffe tra Brunetta e Romani, tra Verdini e Rossi, tra Pascale e Santanchè, in questo caos furioso convincerà i senatori ribelli di Forza Italia a votare, tutti, le riforme di Renzi, proprio come dice Pier Silvio e come ripete da tempo Fedele Confalonieri, il presidente di Mediaset, l’amico dai consigli sempre garbati, lui che la scorsa settimana ha incontrato pubblicamente anche l’arcinemico De Benedetti, l’Ingegnere. E con l’editore di Repubblica il mondo berlusconiano starebbe per costituire una concessionaria di raccolta pubblicitaria su internet, un colosso che mette insieme Publitalia-Mondadori, il gruppo Espresso-Manzoni e Rcs. Niente di meno.

 

Quasi un anno fa, a settembre, Confalonieri, protetto dai vetri scuri della sua auto, entrò in gran segreto al Quirinale. E lì, al piano nobile, nello studio di Giorgio Napolitano, il vecchio amico del Cavaliere esercitò tutta l’arte diplomatica che gli deriva dall’esperienza e dal carattere. Con un delicato giro di parole, in un impasto di passione e di distanza, fasciata di mille sordine, tra gli arazzi e i velluti venne pronunciata più volte, e ascoltata con cenni d’assenso, la parola “grazia”, un’offerta, forse una mezza richiesta della famiglia, che aveva un senso politico, sì, ma che rappresentava anche un’incognita e un macigno sulla psicologia superomista, ludica e fantasiosa di Berlusconi. “Avrebbe dovuto ritirarsi”. Ma in quel momento, un anno fa, il Cavaliere aveva soltanto da perderci: il governo Letta già periclitava, Pier Luigi Bersani era padrone della solita vecchia ditta intrisa d’antiberlusconismo militante, intrecciata con i residui delle guerre manettare, nel cortocircuito italiano dei Di Pietro e dei D’Alema, degli opinionisti aggrappati al pane quotidiano del conflitto d’interessi. A settembre Renzi non esisteva, era soltanto un simpatico bullo di periferia che Berlusconi aveva ospitato una sera nella villa di Arcore, e tra i fischi del Pd, per parlare dei fondi al comune di Firenze. Niente di più. E insomma un anno fa, un’èra geologica fa, il partito Mediaset, l’azienda diplomatica e governista fallì una mediazione che oggi è invece possibile, favorita dal contesto istituzionale, e dunque coccolata, con massima prudenza, in ogni suo prerequisito. Un mosaico di tante piccole mosse e felpate, come ha sussurrato anche ieri sera, a una cena di fund raising organizzata a Roma, lo stesso Berlusconi nell’orecchio d’un amico: “Forse è davvero cambiato il mood in Italia”. E al Cavaliere è piaciuta molto la difesa di Vasco Errani da parte di Renzi: vale la presunzione d’innocenza fino al terzo grado di giudizio. “Sembrano parole ovvie. Non lo sono”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.