Le due maschere del premier

Claudio Cerasa

Se l’Europa di Matteo Renzi dovesse farsi un selfie in questo preciso istante – dopo il discorso a Strasburgo, le botte con il capogruppo del Ppe, Manfred Weber, la scazzottata con Jens Weidmann, capo della Bundesbank, custode dell’ortodossia rigorista dei falchi di Berlino.

Se l’Europa di Matteo Renzi dovesse farsi un selfie in questo preciso istante – dopo il discorso a Strasburgo, le botte con il capogruppo del Ppe, Manfred Weber, la scazzottata con Jens Weidmann, capo della Bundesbank, custode dell’ortodossia rigorista dei falchi di Berlino, e dopo gli elogi della stampa internazionale, le carezze del Financial Times, del New York Times e del Wall Street Journal – quell’Europa, più che il volto della noia, mostrerebbe due maschere diverse. La prima maschera è quella mediatica, quella più forte, quella più tosta, quella più da gallo cedrone, e quella che insomma coincide con l’Europa del pugno renziano sbattuto prima sul tavolo di Strasburgo e poi il giorno dopo sul tavolo di Palazzo Chigi.

 

E’ una maschera che mostra un’Europa dove il presidente del Consiglio osa laddove nessun suo predecessore aveva mai avuto la forza e forse il coraggio di osare. Ed è un’Europa in cui Renzi prova a far passare lo stesso messaggio con cui ha costruito la sua scalata ai vertici del nostro paese: io sono il volto del dinamismo, della velocità, di una politica che vuole emanciparsi dalla rigidità della tecnocrazia, e di fronte a ogni tentativo di violare la nostra sovranità nazionale, e soprattutto il nostro orgoglio, non ho intenzione di fare melina, di spostarmi di lato e di giocare con la diplomazia ma ho la necessità assoluta di dividere il campo tra chi sta dalla parte del bene e del male, e tra chi, insomma, sta dalla parte della crescita, della fine dell’austerità, dell’inizio di un nuovo corso, e chi, invece, sta dalla parte della rigidità, del rigore, della palude, delle vecchie burocrazie. Anche in Europa Renzi ha adottato lo stesso schema, la stessa maschera, e il messaggio è passato. Il premier è stato lodato da tutta la stampa internazionale e da quasi tutti i giornali italiani e, almeno dal punto di vista mediatico, verrebbe da dire tattico, è riuscito a porsi di fronte alla signora Merkel (con cui ha un rapporto buono, ultra politico, simile a quello, dicono a Palazzo Chigi, che il premier ha con Silvio Berlusconi: posizioni distanti ma obiettivi convergenti) con il profilo di chi oltre a essere arrivato a Strasburgo forte di una grande legittimazione popolare si presenta come il capo di un partito più grande da anni alla ricerca di un regista capace di rappresentarlo in maniera ordinata: il Club Med, il club dei paesi mediterranei.

 

Oggi, da un certo punto di vista, Renzi rappresenta anche questo. Ma la maschera del dinamismo, nelle intenzioni del presidente, dovrebbe avere anche un altro effetto. Un effetto “placebo” simile a quello generato dagli ottanta euro: infondere ottimismo, creare speranza e riuscire a far passare un messaggio importante: che l’Europa non è ferma, si muove, cambia, reagisce, e che alla fine cambierà verso come abbiamo fatto noi (anche se non si capisce bene con quali obiettivi e con quali orizzonti, e ha ragione Liberation quando, in un articolo pubblicato ieri titolato “Paroles, paroles, paroles, dice che “A Strasburgo, ancora una volta, Renzi non era molto chiaro su quello che voleva”).

 

La prima maschera è dunque accattivante ma è una maschera parziale che ovviamente non racconta del tutto le cose come stanno. La seconda maschera che allora comparirebbe qualora Renzi dovesse fare un selfie all’Europa è una maschera dietro la quale si nasconde il volto del Continente. Quello reale. Dove è vero che Renzi ha preso a sberle un pezzo grosso dell’establishment come Jens Weidmann ma dove è anche vero che le sberle tra un presidente del Consiglio e la Bundesbank sono all’ordine del giorno e prima di Renzi è capitato a quasi tutti i capi del governo del club Med (dalla Spagna alla Grecia) di bisticciare con il numero uno della banca centrale tedesca (e in Germania, infatti, la notizia delle botte da orbi tra Renzi e Weidman non era sulla prima pagina di nessun grande giornale).

 

Dove è vero che mai nessuno come l’attuale presidente del Consiglio si era presentato con una forza tale da trattare quasi alla pari con la cancelliera tedesca (quasi alla pari perché è vero che il Pd di Renzi è il partito che ha preso più voti in Europa ma, piccolo dettaglio, le elezioni europee sono state vinte dal centrodestra, non dal centrosinistra, e fino a prova contraria l’agenda europea verrà scritta in tedesco anche nei prossimi cinque anni, Jawohl).

 

[**Video_box_2**]Dove è vero che Renzi si sta comportando in modo diverso rispetto ai suoi predecessori, sia rispetto a Letta (che mai avrebbe trovato la forza per alzare un dito e mandare a quel paese il capo della Bundesbank), sia rispetto a Monti (che mai avrebbe potuto sculacciare i tecnocrati europei, che in fondo erano i suoi grandi elettori), sia rispetto a Berlusconi (che pur non essendo mai stato esattamente un merkeliano non ha mai avuto una forza politica tale da piegare il rigorismo tedesco). Dove è vero che tatticamente il presidente del Consiglio si sta muovendo con abilità anche nel disegnare nuove alleanze in Europa (in sostanza il Rottamatore oggi sta provando a mettere insieme Club Med e Inghilterra per accerchiare la Germania, che oggi è orfana del suo alleato naturale, ovvero la Francia).

 

Ma dove è anche vero che identificare un nemico al quale poter addebitare una possibile sconfitta sul terreno della flessibilità per Renzi è questione vitale: il presidente del Consiglio, infatti, sa che l’Europa non concederà nulla all’Italia senza aver portato a termine un nuovo e impegnativo processo di riforme e sa che nonostante la maschera da gallo cedrone i compiti a casa  non sono finiti ma sono appena cominciati. “Renzi – come scritto ieri dal Financial Times – ha le caratteristiche giuste per controbilanciare l’egemonia soft della cancelliera tedesca, Angela Merkel, poiché entrambi rimarranno probabilmente al potere nel prossimo futuro, e dunque un’intesa tra i due potrebbe cambiare il volto dell’Europa”. Ma prima di poter ottenere qualche risultato Renzi dovrà ancora battere  molti pugni sul tavolo per non farsi rottamare, come capitato a molti suoi predecessori, dal partito del signor Weidmann.
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.